Litanie soffuse e nebbiose, vagamente morbose, un mood in larga misura sonnolento e rilassato, ma che sa concedersi a digressioni graffianti e gelide. Come un gatto, animale molto caro a Klaartje Keppens, fondatrice dei qui presenti On All Fours, Hybris sonnecchia e si fa contemplare da lontano: diffidente, non si lascia avvicinare molto, e quando ciò accade subito si ritira e, magari, lascia qualche graffio a silenzioso monito. Si allontana ondivago il felino, trova un altro punto di osservazione e ricomincia il suo gioco fatto di sguardi, ammiccamenti, fusa e repentine ritirate.
La definizione che i Nostri danno alla loro musica è “black doom metal belga-babilonese”. Le influenze orientaleggianti possono essere percepite nel cantato ammaliante della Keppens, nei fiati spesso usati a contorno delle melodie sinuose e ipnotiche e in certe tematiche a sfondo spirituale che animano i testi delle dieci tracce. La base è però quella di un gothic-doom “prog-oriented”, oseremmo dire quasi psichedelico nel suo incedere onirico ed ipnotico, con chitarre e strutture ripetitive che, in maniera sicuramente più leggera, fanno il verso a certe cose già sentite negli Amenra. La scuola belga nelle sue sfumature più sciamaniche e certe band trasversali come i Forlesen possono essere dei validi riferimenti per inquadrare la musica degli On All Fours, anche se ci sono delle sfumature torbide e quasi “urbane” che ci hanno ricordato alcune cose ai limiti del post-grunge novantiano. In generale le soluzioni create dalla Keppens & soci convincono e affascinano, hanno un che di pop che, a dispetto della cupezza generale delle atmosfere, ci mettono poco a rimanere impresse in testa: i quattro brani posti in apertura di fatto mettono subito in chiaro tutti quegli aspetti melodici che poi andremo a ritrovare, disseminati e riuniti in modalità diverse, in tutto Hybris. Cala però un po’ forse il livello di attenzione e di coinvolgimento alla lunga, colpa probabilmente di alcune strutture già impiegate che suonano di già sentito, ma alla fine è un “deja-entendu” piacevole che non inficia poi così tanto sul giudizio finale del disco.
Hybris è una buona ed interessante proposta, abbastanza particolare e fresca, non estrema come il “black doom” dell’etichetta vorrebbe lasciare intendere sebbene non manchino momenti più grintosi. Un disco riflessivo e notturno, non un capolavoro ma assai degno di essere ascoltato e vissuto perché contenente alcuni spunti interessanti, se non addirittura notevoli.
(Ván Records, 2024)
1. Vision – Sinear’s Dream
2. Design – For Four’s Sake
3. Base – The Pillars
4. Tower – Anagogia
5. Shock – Agitator
6. Fall – Epiphany
7. Rise – Remedy
8. Atrium – Limerence
9. The Ancient Dream
10. Atrium – Limerence (acoustic)