Quando ci si trova tra le mani il nuovo disco di un progetto musicale che si è saputo ritagliare negli anni importanti spazi di fama e riconoscibilità le sensazioni che si provano spaziano dalla curiosità al timore. Scoprire se i musicisti sono riusciti nuovamente a produrre qualcosa all’altezza della fama di cui sopra, timore di rimanere delusi da qualcosa di non all’altezza. Se poi chi ascolta deve anche scrivere a proposito di tale nuova uscita, il timore diventa persino reverenziale (con l’estremo opposto del voler infierire nel caso si venga a realizzare la disillusione). Ecco. I Wardruna capeggiati da Einar Selvik aka Kvitrafn rispecchiano a pieno la definizione di un’esperienza musicale che in poco più di tre lustri ha saputo trovare il proprio posto al sole e, a mio modestissimo avviso, meritatissimamente. Partiti quasi come germinazione folk e rituale dei seminali Gorgoroth, i Wardruna sono letteralmente esplosi anche oltre il raggio della propria sfera d’interesse grazie alla serie tv Vikings la cui colonna sonora ha visto Selvik tra i compositori (oltre a varie comparsate negli episodi) tra il 2013 e il 2021. Quindi, è necessario lodare la serietà filologica con la quale i Warduna hanno saputo portare all’attenzione popolare e persino mainstream la tradizione musicale scandinava. Un unicum fu forse Skald del 2018, disco a tutti gli effetti “solista” di Kvitrafn (unico compositore ed esecutore di tutta l’opera), un capolavoro di correttezza filologica e, secondo chi scrive, di bellezza, una perla unica. Quindi, riassumendo, la trilogia delle rune, in seguito Skald, poi Kvitravn disco dell’affermazione “pop” e adesso questo Birna. Vale la pena chiudere questa introduzione, di certo troppo lunga, dicendo che il disco convince, non poco.
Birna, la femmina dell’orso. Dieci tracce che raccontano il suo ciclo vitale di sonno e veglia intimamente connesso alla vita della foresta, destinata a una lenta morte nel caso il letargo della bestia diventi ibernazione e quindi fuga e rinuncia alla modernità. A un primo distratto ascolto si può dire che il suono dei Wardruna in Birna non si discosta molto dal sentiero tracciato dai cinque dischi precedenti eppure si ha la sensazione che il collettivo norvegese abbia voluto spingere sul pedale che più alimenta il loro lato tribale e rituale. A prova di ciò basterebbe dedicarsi all’ascolto di “Hertan”, la traccia che apre l’album portata avanti dal ritmo del battito cardiaco fino al finale roboante di percussioni e fughe di voci che si rincorrono. Andando avanti si nota con piacere il grande spazio dedicato alla splendida voce di Lindy-Fay Hella (a proposito, recuperate di volata il debutto dello scorso anno del supergruppo Whispering Void che la vede protagonista), che viene persino lanciata in evocativi canti joik e kulning e, con sorpresa, l’inserimento di strumenti, sonorità e ritmiche mai sperimentati finora. Già le note di presentazione che hanno anticipato il lancio del disco avevano programmaticamente dichiarato la volontà di seminare qualcosa di nuovo su un terreno dove trovano vita e nutrimento le antiche radici. Basti pensare ai tempi dispari di “Ljos til Jord” o all’uso che viene fatto dei fiati (tradizionali e non) lungo tutto il disco. Con le tracce quattro e cinque si rivela in pieno il concetto e il significato di Birna: “Dvaledraumar” è il sogno del letargo, una suite lunga di rumori d’ambiente, suoni, la stentorea voce di Selvik che rappresentano il ritorno all’utero che protegge da tutto ciò che è fuori. È proprio un kulning di Hella che va ad aprire il pezzo forse più bello di tutto il lavoro, quella “Jord til Ljos” nella quale meglio si scorge l’orizzonte verso il quale si dirige il drakkar dei Wardruna con questo album. Le percussioni sembrano andare a pescare in tradizioni musicali altre da quelle scandinave e si apre una interessante e originale prospettiva orientata verso la world music (viene in mente quell’assoluto capolavoro che risponde al nome di Toward the Within che i Dead Can Dance registrarono a Santa Monica nel 1993). Il disco continua rappresentando l’alternarsi dei ritmi di sonno e veglia della bestia nella sua tana. “Hibjornen” a livello musicale si rifà in pieno alla tradizione scaldica e sembra uscire proprio dall’album del 2018 menzionato prima. Con i tre pezzi finali vogliamo immaginare l’animale pronto al definitivo risveglio e all’uscita dalla tana. Il letargo è stata una catarsi, la fuga, per quanto dolorosa, dalla foresta morente era l’unica soluzione per continuare a vivere. Fuori solo ghiaccio, dentro il calore della vita. Lentamente l’animale ha saputo cogliere suoni, voci, rumori e più in generale spunti che riuscivano comunque a darle fiducia e forza e quindi ha capito che era il momento di tornare alla foresta, alla vita fuori, a vivere, sopravvivere, forse resistere e combattere.
Birna può sembrare un disco di transizione e da un lato forse lo è, in senso buono. Selvik e compagnia sono musicisti scafati, esperti, finissimi filologi che riescono a non cadere nei tranelli che l’apertura verso prospettive per loro inedite avrebbero potuto presentarsi. Ci sono brani che convincono meno e altri invece molto belli ma rimane comunque il senso di concetto compiuto e ben elaborato. Ciò dà molto fiducia, in quanto il precedente Kvitravn non aveva pienamente convinto chi scrive, e dà fiducia il fatto che il progetto Wardruna sia in evoluzione, in sviluppo. Il rischio che i nostri diventassero gli AC/DC del folk nordico era evidente ma Birna apre una strada e una prospettiva interessanti e affascinanti.
(Fimbulljod Productions, Columbia Records, 2025)
1. Hertan
2. Birna
3. Ljos til Jord
4. Dvaledraumar
5. Jord til Ljos
6. Himinndotter
7. Hibjørnen
8. Skuggehesten
9. Tretale
10. Lyfjaberg