Era il 1996, avevo all’incirca 21 anni, il primo album rap di Neffa, quel Neffa & I Messaggeri Della Dopa che rappresentò una pietra fondamentale per il movimento hip hop in Italia, mi accompagnò per settimane. Con me un’intera generazione che nelle liriche intrise di vita comune, con difficoltà e situazioni davvero complesse deposte sulle spalle di chiunque, trovò un modo per esorcizzare i propri demoni. C’è chi ha sempre accusato il rap, e parlo di QUEL rap ben lontano dalle derive di questi ultimi anni, compreso il cesso musicale che mette la T prima di tutto, dicevo: le accuse concernevano una presunta narrazione romanzata, come se la vita di merda di interi quartieri abbandonati da tutto e da tutti, di famiglie allo sbando, di destini (pochissimi) salvati per il rotto della cuffia e altri (la stragrande maggioranza) segnati fin dal taglio del cordone ombelicale, fosse tutta fuffa, un qualcosa di fantasy, fantascienza, una barzelletta, grotteschi vaneggi di gente ovviamente sotto l’effetto di sostanze. Io quel periodo l’ho vissuto, anche anni prima, eroina e piombo nelle strade, case popolari e cessi in cortile, fabbriche e progenie numerose, lotte sociali e domeniche senza benzina, mentre le settimane senza carne, pane, futuro, ecco, tutto questo invece cosa cazzo era? Il rap, quel rap, è stato l’esatta continuazione del punk e dell’hardcore, delle viscere sbattute sul microfono e fanculo a chi presume(va) di sapere la verità, che col culo sulla bambagia sono bravi tutti e magari, questi, ora hanno fatto un testacoda e “mò, sai che c’è?” sulla bamba(gia) ci stampano il naso.
È il 2025, fate voi il conto, e Giovanni Pellino torna a fare rap, dopo anni a girovagare tra soul, pop e funk. A 57 anni è ancora un guaglione, sulla traccia, con la voglia di stupire, divertire ma soprattutto di rimette tutto in gioco, balla lui e balliamo noi. D’altronde è fin dal periodo con i Negazione (poca roba, il grosso era già stato fatto ma, lo so, la leggenda va sempre aromatizzata quanto serve) e poi con l’ascesa nel rap, con quel progetto seminale chiamato Sangue Misto (sempiterna gratitudine a Neffa, Deda e DJ Gruff per SxM, capolavoro indelebile), che ha poi visto la nascita della carriera solista del Nostro – anche se, va detto, nel rap tutto è un confluire tra collaborazioni, split album, side project; un’intera generazione di figli di una puttana gravida di arte e parole infuocate – con due dischi al 100% calati nel contesto hip hop. Ma, come stavo dicendo poc’anzi, Neffa è un’anima particolare, irrequieta quanto basta, geniale il giusto, che ha sempre “cercato di schiodarsi e pensare solo a quello che c’era da fare” e quindi ecco che il mondo dorato del pop spalanca le sue porte e dal quel momento inizia una nuova fase, la terza, che tiene ugualmente alta l’asticella della credibilità del ragazzo di Scafati. Già, se per alcuni poteva risultare un clamoroso autogoal oppure una palese dichiarazione di non saper fare nulla di buono nella musica, Neffa con questo suo cambiar pelle riesce a centrare ogni bersaglio, risultando convincente e credibile, parlando linguaggi artistici diversi, usando modi e strumenti in contrasto tra loro, eppure, ecco la magia, il cuore, l’anima che disegnano traiettorie perfette, una pentola d’oro in fondo al più grande degli arcobaleni. Ed è per questo che l’annuncio di un nuovo disco rap, il primo dopo una vita, è stato accolto con un entusiasmo e un hype che pochi altri possono meritare. L’album è uscito, dura pochissimo, nemmeno 27 minuti, ha quel “Part 1” nel titolo che lascia presagire un sequel (ed io spero sia una bella trilogia), pieno zeppo di ospiti, tutti che girano alla grande. Com’è Neffa dopo tutto questo tempo? Se dico che non sembra passato nemmeno un giorno, so già che il primo pensiero sarebbe. “ok, ha recuperato roba avanzata in qualche polveroso hard disk, ha fatto un disco facile, che suona vecchio“. La verità, per fortuna, non è mai così semplice e lineare, va stesa per bene. Canerandagio – Parte 1 suona esattamente come un fan del Neffa degli anni Novanta si aspetta. Un rap fumoso, nel senso di tabacco e erba; notturno, non necessariamente legato alla vita cash/sex/auto di lusso che pare essere la sacra triade dei bambocci nati per sbaglio; pregno di vita vera, e qui sono le fragilità di una generazione che ha attraversato davvero 30 anni di merda in technicolor – passando dal terrorismo e le bombe alle tette strizzate di Drive In e il Berlusconismo che ha anestetizzato un intero paese – a bruciare come ferite fresche.
Schiaccio play, la mente è nel 1996, avevo 21 anni, era il periodo dove il writing a Milano era una bolgia di arte, con lei Bologna, Genova, Napoli. Bombolette spray, palette infinite di colori, la dopa una cura per tanti dolori, nelle liriche c’era sempre una voglia di risollevarsi, le parole non erano di odio verso un altro, il dissing non esisteva, non c’era questa stupida caccia all’uomo, l’unico nemico era quel “se stessi” che non doveva arrendersi mai. E Neffa tutto questo lo sa, perché tornare a fare un disco rap, a 57 anni, è trovarsi di fronte decine di stronzi col sorriso di sufficienza, sguardi bassi – da codardi col collare d’oro – e critiche da due soldi, dal divano JustHate a domicilio. Invece, la verità è che un disco del genere ci voleva, lo chiamano Maestro, perché s’è fatto vecchio, lo dice lo stesso Pellino, e sono sberle di quelle belle, che servono più di milioni di parole. Poi ci sta, è fisiologico che possa suonare celebrativo, che i vari featuring siano la parte più centrale del lavoro, che Neffa sia più un oste accogliente e che lasci la boccia piena per i viandanti che accorrono alla sua casa. Però, dai, sono minuzie e non intaccano il risultato finale. Non amo tantissimo dare i voti agli album, sono sempre in difficoltà. Canerandagio – Parte 1 merita un voto altissimo per come colma la malinconia di trent’anni. Merita un voto altissimo per la sensualità di ogni ruga sul volto di Neffa, segni indelebili di una vita vissuta al massimo. Merita un voto altissimo per come “salva, risplende, scalda”. Un cane randagio che urla alla luna, il capo branco chiama, noi tutti rispondiamo.
(Numero Uno, Sony Music, 2025)
1. Littlefunkyintro
2. TROPPAweed (feat. Noyz Narcos)
3. Bufera (feat. Franco126)
4. Cuoreapezzi (feat. Guè & Joshua)
5. Canerandagio (feat. Izi)
6. Hype (nuoveindagini) (feat. Fabri Fibra & M¥SS KETA)
7. Perdersi&ritorno (feat. Frah Quintale)
8. Miraggio (feat. Joan Thiele & Gemitaiz)
9. Argiento (feat. Lucariello & STE)
10. Tuttelestelle (feat. Ele A & Francesca Michielin)