Quella di Mary Mortem è una figura non facile da decifrare. Sappiamo che arriva dagli States, da Tulsa in Oklahoma, per la precisione. Stop. Tutto il resto che potrebbe aiutarci a capire meglio il suo background socioculturale è di difficile reperibilità online. Per cui restiamo sul lato più strettamente musicale. Negli anni ha realizzato una serie di brani che solo raramente sono sfociati in album ufficiali. L’EP Worn Eyes del 2018, il debutto del 2021 Do You Believe In Thelema e questo Phantoms of the Fall, tutti autoprodotti. Il suo è un fenomeno che ancora non ha raggiunto uno status internazionale, e che viaggia costantemente sottotraccia, soprattutto qui in Europa, ma che ha tutte le carte in regola per emergere. La Mortem ha infatti costantemente mostrato una varietà e una padronanza tutt’altro che indifferenti a livello compositivo, riuscendo a muoversi con agilità a cavallo tra i generi, spostandosi senza dare troppi punti di riferimento, sperimentando senza regole. Fino ad oggi, 2025, quando sceglie di fermarsi e cristallizzare i propri sforzi, anche grazie alla stabilità che la band vera e propria con cui ha creato questo album le garantisce. Un album che la mostra forse a fuoco come non è mai stata.
Un disco, Phantoms of the Fall, che la mostra a fuoco come probabilmente non è mai stata finora, e che quindi pensiamo possa rappresentare un notevole passo avanti, in direzione di quello che pensiamo (e in parte speriamo) possa essere inquadrato come il suo personale approccio sonoro. È certo però che, vista la costante mutabilità della Mortem fino ad oggi, tutto questo può venire stravolto in tempo quasi reale, mentre lo stiamo scrivendo. A noi, il suo rapportarsi con la musica in maniera così fortemente depressiva piace parecchio, anzi, raggiunge quasi l’estasi nel momento in cui va a sposare una pulizia sonora tutt’altro che accurata. Quella di Mary Mortem è una realtà che ha attirato sin da subito il nostro interesse. Soprattutto quando è passata ad un qualcosa di più ossessivo e pesante, e meno orientato verso l’elettronica glitterata degli inizi. Guardare a lei oggi è come pensare di incontrarla per la prima volta, vista la distanza che ha messo con il passato. Ci piace quindi pensare a Phantoms of the Fall come al debutto di un progetto nuovo di zecca, decadente, malinconico e deprimente. Un progetto che racchiude le tre grandi costanti della mia vita, e che quindi non potevo non trovare coinvolgente. Se c’era un modo in cui doveva suonare l’album è esattamente questo, sporco ma a fuoco con il contesto concettuale a cui si vuole adattare. Un immaginario fatto di dolore, in ogni sua forma e rappresentazione. Un tentativo di venire a patti per liberarsi della sofferenza patita. Il disco si caratterizza per un’atmosfera costante, che procede quasi immobile, in un contesto sonoro drammatico e coerentemente realizzato, in modo da fagocitarci per tutta la sua durata. Un album tagliente, che riesce a muoversi a cavallo di quella linea che partendo dallo shoegaze, sfiora il doom e il post-metal, il tutto ovviamente in toni depressivamente cupissimi.
Se il rischio, con queste premesse, era quello di finire inchiodata e chiusa in tutta una serie di esercizi di stile, senza mai arrivare ad una concretezza definitiva, possiamo senza dubbio sciogliere la prognosi: Phantoms of the Fall è un album che merita tutta la nostra attenzione, e che ci mostra un’artista che non ha alcuna remora a spogliarsi in pubblico, raccontando la sua gioventù. Il disco narra infatti tutta una serie di esperienze della sua giovinezza, “in ambienti pesantemente infestati dalla droga, dove si lasciavano gli aghi in giro e gli sballi crollavano. Un luogo in cui ogni giorno sembrava l’ultimo e ogni respiro il primo.”
(Internal Sanctum, 2025)
1. Dead in Oologah
2. Phantoms of the Fall (Ft. Mercy Necromancy)
3. Lifeless and On Your back
4. A Long Crawl in For You
5. The Hollowing
6. Burial Creek (Ft. Cozy St Jean)
7. Hunted
8. Shed Your Skin
9. Taxidermy Bride