Nortt è un progetto danese attivo sin dal lontano 1995 che arriva oggi a pubblicare il suo quinto album. Dødssang ne sancisce dunque il ritorno, dopo ben otto anni di silenzio. “Death, Darkness, Solitude and Existentialism” si legge nella bio ufficiale, peraltro piuttosto stringata, in linea con l’idea di non concedere, o quasi interviste, e/o ulteriori informazioni, in nome di un approccio isolazionista che si ispira al paganesimo nordico. A ben guardare, a posteriori, crediamo che non ce ne sarebbe stato bisogno. Sarebbe bastato premere play sul lettore CD per renderci conto di ciò che avevamo tra le mani. La storia di Nortt è caratterizzata da una serie continua di alti e bassi, di rumori e di silenzi. Dieci anni intensissimi che si tramutano poi in un una lunga pausa, conclusasi proprio in occasione dell’album di otto anni fa. Da allora nulla, fino ad oggi. Una carriera che sembrava portare verso un rallentamento che sposava una tensione sempre palpabile ma meno isterica, e che, con questo Dødssang raggiunge l’apice dell’ossessività.
Su di uno sfondo sempre, e costantemente, ispirato alla più oppressiva e deprimente oscurità, Nortt ha realizzato un disco che alza qualitativamente il tiro proprio nel momento in cui decide di rallentare ulteriormente il proprio assalto, che perde gran parte di quella brutalità che lo aveva contraddistinto in passato, pur senza perdere di mordente. L’album si caratterizza infatti per un approccio che mette al centro di tutto il pianoforte, individuandolo come voce prioritaria e portante, e quindi cardine fondante. Siamo alle prese con un lavoro che – come detto – per assurdo rischia davvero di risultare molto più pesante e intenso di quelli precedenti, in cui il caos sembrava regnare incontrastato, dominando la scena. Dødssang è un album freddissimo, ma al tempo stesso ricco di un calore intenso, che spinge in avanti la qualità e lo spessore delle composizioni, oggi molto più personali, ma soprattutto più inclini a guardare a dinamiche “spettrali” intangibili, ma maledettamente caustiche. Una lunghissima marcia funebre che ci accompagna, attraverso otto pezzi, per circa 45 minuti in cui ogni forma di luce è bandita, scansata, rifiutata, elusa, in vista di quel domani in cui l’uomo sarà definitivamente scomparso, e il silenzio eterno regnerà sulla terra, perché – a quanto sostiene Nortt – è proprio l’uomo il male di ogni tempo, compreso quello che stiamo vivendo noi.
Perché dunque dedicare il nostro tempo a Dødssang? Perché si tratta di un album metafisico, straziante e marziale che descrive un mondo in dissolvenza, oscuro e inquietante, con grande lucidità. Grazie ad un suono algido che colpisce al cuore, mentre le flebili speranze vanno a morire, con un incedere ossessivo, dilatato, lancinante in cui si incastra alla perfezione un cantato recitato che arriva dagli inferi e negli inferi intende riportarci, attraverso un viaggio che appare davvero senza fine, estenuante, che non arriva mai a destinazione, lasciandoci in balia del fato, avvolti da una freddissima disperazione che a tratti non permette nemmeno di respirare. Può bastare come spiegazione?
(Avantgarde Music, 2025)
1. Dødssang
2. Dødsengel
3. Død mands sang
4. Alt er tomhed
5. Ensomhed
6. Ihukom natten
7. Bøn til døden
8. Udslukt