
Pain Magazine è un nome relativamente fresco in ambito musicale. Il progetto nasce dall’interazione tra i francesi Birds in Row e le realtà techno franco-statunitensi Maelstrom & Louisahhh. Dalle loro menti è uscito un album come Violent God che si colloca esattamente a metà, come collante, tra il mondo dell’hardcore e quello della techno industriale. Un approccio che, al netto dei due generi succitati, è quanto di più punk si possa immaginare. Ascoltare per credere. Il disco è infatti irriverente, provocatorio, sporco e minimale nel suo incedere solo apparentemente disordinato. Un album che mostra grande coraggio e che non ha paura di scontentare i più rigidi oltranzisti. Perché punk è libertà, che piaccia o meno. Poi, se per punk si pensa alle creste colorate sulle teste delle persone, allora possiamo anche finirla qui. Se il tutto – come riportano le note ufficiali – nasce come improvvisazione, in una notte invernale, non significa che poi le cose non possano prendere un aspetto differente, improntato al massimo della serietà. Cosa che non possiamo che augurarci, visto il risultato della loro liaison dangereuse.
Violent God è un disco che loro stessi definiscono audace e senza filtri. Una descrizione che sentiamo di condividere, soprattutto per il coraggio con cui hanno deciso di correre il rischio di presentare un qualcosa di potenzialmente divisivo, scelta sconsiderata e spericolata che a nostro avviso li vede uscire vittoriosi. Violent God è infatti un album che mostra grande freschezza, e che, improntato ad un accesso diretto con cui la band va immediatamente al centro dei brani, senza perdersi in inutili preamboli, suona minimale e di grande impatto emotivo. Costruito da una sequenza di brani tra loro distanti in quanto a impatto ma comunque legati da un’idea di base costante, e riconducibile ad una comune matrice facilmente riconoscibile, l’album rappresenta il punto di incontro di due mondi che si scontrano generando un’esplosione sonora devastante, che però non rinuncia alla ricerca della melodia. Da un punto di vista concettuale il disco sottolinea quanto possa essere difficile oggi sopravvivere ai margini della società, laddove la malattia mentale ci ha confinato, ma anche dove il capitalismo assassino ci ha sbattuto, fregandosene dei nostri problemi. Non mancano richiami ai danni delle relazioni tossiche e delle dipendenze, attraverso un percorso che tocca anche la fede e il senso di colpa che la religione ci impone. Un album che è denuncia sociale e rivendicazione da parte dei meno fortunati, degli emarginati, degli esclusi, e che guarda all’equità degli esseri umani, in una visione anticapitalistica del mondo moderno.
Violent God è fatto di undici tracce che non lasciano scampo, e che si muovono in territori che un’analisi superficiale può vedere come poco affini, ma che in realtà sono esempi di come si possa coniugare lo stesso verbo in modi diversi ottenendo però il medesimo risultato finale. Un lavoro caleidoscopico che apre un futuro a cui guardare con attenzione, in cui i Pain Magazine, se non perderanno la spontaneità del loro approccio, possono regalarci altri dischi intensi e taglienti come questo. Se tutto dovesse diventare troppo serioso, allora, meglio lasciarci qui, con un solo album, a cui tornare con nostalgia ma senza doversi pentire di eventuali marchette future di cui non sentiamo assolutamente il bisogno. Il disco riesce a mantenere un legame intenso con la nostra attenzione e questo è un punto che consideriamo fondamentale per chi ha scelto di muoversi all’interno di un oscuro caleidoscopio sonoro come quello dei Pain Magazine.
(Humus Records, 2025)
1. Violent God
2. Weak and Predatory
3. Dead Meat
4. Nice Guy
5. Magic
6. Like a Storm
7. Choke Points
8. A Good Hunter
9. Bastion
10. Horse Song
11. Husk


