
Ne hanno fatta di strada i tedeschi Coltaine da quando, circa dieci anni fa, sono comparsi sulle scene con il nome di Witchfucker. Dopo alcuni album sotto quel moniker cambiano nome e anima, diventano Coltaine, ed ora, in questo 2025, eccoli nuovamente con il loro ultimo parto Brandung, ed è un centro.
Guidati dalla carismatica e cangiante voce di Julia Frasch i Nostri amano veleggiare liberi nel mare del “post-”, con influenze che vanno dal post-metal al post-rock, dal blackgaze alla psichedelia, dal doom “sacrale” dei Messa al gothic rock, con un feeling anni Novanta che alle volte sembra serpeggiare nelle nove tracce che compongono questa loro fatica. Il tema centrale, come nel precedente Forgotten Ways, pare essere il mare, ma per esteso è la Natura nel suo insieme ad essere tirata in ballo, la sua forza primordiale che irretisce e affascina da sempre l’uomo. Il mare di nebbia che i Nostri mettono in copertina, come dei moderni C. D. Friedrich, lascia sin da subito trasparire quel senso romantico di fascinazione per il sublime, per l’incontrollato: le onde di “Tiefe Wasser” assieme a mantrici campanelli e all’ipnotica litania della Frasch, sono solo il preambolo alla travolgente “Memories Of Ice”, brano che ama crescere con il fare tipico del post-rock “alcestiano”, ricordandoci a più riprese gli svizzeri E-L-R (forse il più calzante termine di paragone che possiamo trovare), e che sfocia naturalmente nell’altrettanto coinvolgente “Keep Me Down In The Deep”, con i suoi chitarroni grassi post-metal e la sua orecchiabilità tipicamente nineties. Si respira con i due brevi strumentali “Black Coral” e “Wirbelwind” (più poetico il primo, più minaccioso il secondo), prima di arrivare ad uno dei pezzi migliori del lotto, la sinistra e cupa “Above The Burning Sand”, pezzo sospeso, teatrale, che monta continuamente come una risacca senza mai di fatto deflagrare. Proprio in questo sta la sua forza (e di fatto anche l’anima di Brandung), la capacità di mantenere sempre alto il livello di tensione, di ricamare trame sonore che circuiscono e serpeggiano, delicate poetiche e al tempo stesso taglienti. Alto il livello anche nella title-track, un brano che vive su due livelli: maggiormente dedito al post-metal nebbioso nella prima parte, più intimo e mesto nella seconda parte, che di fatto dà il la al soave finale (di nuovo strumentale) affidato a “Solar Veil”, un dolce arpeggio che ha lo stesso effetto dei primi, consolatori raggi di sole che filtrano da spesse nubi che solo pochi istanti prima avevano riversato su di noi la loro furia. Il vascello torna a navigare in acque placide, la bufera si è placata, ma ha lasciato segni importanti e tangibili sullo scheletro della nave.
Molto bravi i Coltaine, assolutamente da tenere d’occhio non solo per l’intrinseca bellezza di Brandung, ma anche per alcune intuizioni musicali non comuni, che rendono il loro nuovo album un prodotto forse inizialmente ostico, ma in grado di dare molte soddisfazioni sulla lunga distanza.
(Lay Bare Recordings, 2025)
1. Tiefe Wasser
2. Memories Of Ice
3. Keep Me Down In The Deep
4. Black Coral
5. Wirbelwind
6. Above The Burning Sand
7. Maelstrom
8. Brandung
9. Solar Veil


