Anzitutto ben trovati, fa sempre piacere quando ve ne uscite con qualcosa, certo questo è qualcosa di molto particolare, ma onestamente me lo sentivo (e un po’ ci speravo) che prima o poi avreste replicato quanto fatto con Addendum One, ci pensavate da molto?
Sarge: Ben trovati e grazie per averci invitati a questa chiacchierata. L’idea di proseguire con la serie degli Addendum l’abbiamo covata sin dalla prima uscita. Ai tempi di Addendum One non immaginavamo che ci saremmo addentrati così a fondo nella narrazione attraverso linguaggi ludici. È successo un po’ per caso e un po’ per necessità. Il lockdown del 2020 è stato in parte responsabile di questa scelta, avendoci tenuti separati per lungo tempo. All’epoca avevamo appena iniziato a registrare Volume Three e per tenere alto il morale ci siamo imbarcati nell’avventura di Void and Descent. Questo ha fatto sì che il concept dell’intero progetto diventasse sempre più centrale soprattutto verso l’esterno. Tante cose che fino a quel punto erano rimaste note personali a noi stessi sono diventate elementi effettivi del linguaggio narrativo e sonoro.
Ho una domanda che mi gira da un po’, in queste cose che fate c’è forse l’impronta della fortunata serie Munchkin di Jackson e Kovalic?
Wulff: Magari non tanto Munchkin, ma sicuramente il mondo dei boardgame e soprattutto dei GDR ha fatto la sua parte. Dopo VaD non volevamo che questo sconfinare nel mondo dei giochi fosse una cosa circoscritta. Il primo istinto è stato quello di provare a scrivere un gioco di ruolo vero e proprio, ma sarebbe stato uno sforzo decisamente al di sopra delle risorse che avevamo a disposizione. Quindi abbiamo cercato delle alternative e siamo finiti per lavorare sullo scheletro di un dungeon crawler già esistente, che abbiamo adattato al nostro universo e alle nostre storie. Era un’idea partita come poco più di una trovata, qualche scheda di gioco, un dado e via. Ma dopo aver finito di preparare le missioni ci siamo resi conto che sarebbe stato molto bello avere una colonna sonora su cui giocarle, ed ecco che è nata la release come la vedete oggi. È un’operazione simile a quella che portano avanti altri progetti molto consolidati come quello di Heimat Der Katastrophe di Milano, con cui sogniamo di collaborare un giorno!
Parlando di musica: Credo vi siate spinti molto in là, anche considerando altre vostre sperimentazioni che facevano rivivere i tempi di Dr. Chaos e Maniac Mansion. Addendum Two suona come qualcosa di molto recente, una scelta peculiare considerando lo spirito 80s dell’opera, mentre la musica fa pensare a colonne sonore create per cose come Deliver Us The Moon.
Sarge: Ci siamo concentrati più sul mettere i brani al servizio della narrazione, senza ambire a replicare lavori di compositori dalle doti di gran lunga superiori alle nostre. Il punto di riferimento è sempre stato John Carpenter e il suo approccio essenziale ai temi sonori nei suoi film. Un altro criterio che ci siamo dati è stato quello di fare un uso il più possibile vicino allo zero di virtual instruments e preset, che sono sempre una grande tentazione. L’idea è stata quindi di arrivare a sintetizzare un linguaggio sonoro facendo affidamento soltanto su quello che sappiamo (o non sappiamo) fare.
Wulff: In un certo senso, il nostro è stato un tentativo di fare dungeon synth senza cadere negli stilemi che appartengono al genere, più che altro perché non li conosciamo abbastanza. Quindi se da un lato volevamo la classica esperienza da dungeon master che mette il sottofondo musicale ai giocatori, dall’altro non volevamo scostarci troppo, almeno dal punto di vista sonoro, da come componiamo di solito. Quindi abbiamo lasciato scorrere la nostra vena più ambient e riflessiva evitando di dare troppa struttura ai pezzi, in modo da non dettare il ritmo di gioco, soprattutto considerando che rischia di spezzarsi molto facilmente (di solito per colpa di un tiro di dado sfortunato).
Siamo nel campo di quell’elettronica che ha definito alcuni grandi della musica come Vangelis, Jean-Michel Jarre e Steve Roach. Ritenete che questa virata influenzerà la vostra musica futura?
Sarge: C’è sempre stata un’impronta elettronica nel nostro suono, fin da Volume One. “In Ruins” è stato il primo tentativo di dire “ok sì, facciamo metal, ma ci piacciono anche un sacco le pianole”. Ricordo quando ascoltai per la prima volta “War Machine” degli Axegrinder di aver pensato “cazzo, sì”. Ed è un po’ come abbiamo sempre cercato di tenerla in piedi a nostra volta. Sicuramente Addendum Two ci ha insegnato molte cose che influenzeranno la musica che faremo in futuro. Volume Three è il momento di maggiore fusione tra queste due anime ed è da lì che ripartiremo per il futuro.

Invece, lasciamo stare un momento il fattore musicale. Questo tipo di prodotti al giorno d’oggi non conta un grande seguito tra gli amanti del mondo ludico e videoludico. Che parere avete sulla strada che sta prendendo questo macrouniverso (naturalmente mi riferisco tanto al settore GDR di società quanto a quello videoludico)?
Sarge: C’è molto bisogno di evadere dalla realtà di questi tempi. Le case di produzione di videogiochi sono la nuova Hollywood. Penso tuttavia che i giochi “fisici” siano più sani perché spingono le persone a stare insieme e ad esercitare la fantasia in maniera collettiva. Se torniamo un attimo alla musica dal vivo, ci troviamo sempre meno comunità e sempre più intrattenimento. (Ovviamente non parlo dei concertini con l’ingresso a cinque soldi.) Il gioco, che è apparentemente un momento di mero sollazzo, può assumere una valenza politica, perché quella sta sempre nel come uno fa le cose. Fin dagli anni Settanta sono arrivati enormi contributi da parte di autori appartenenti alla comunità LGBTQI+ o alle minoranze razziali e politiche, come atto di resistenza, di rielaborazione e produzione di un nuovo reale. La gamificazione della realtà a cui siamo sottoposti quotidianamente è uno schema passivizzante. Se non si riesce ad usare la fantasia per immaginare qualcosa di nuovo, è già tutto finito.
Wulff: In realtà c’è un sottobosco sempre più florido di musicisti che si mettono al servizio dei giochi, o che sviluppano direttamente progetti che stanno a metà tra i due mondi: oltre ai già citati Heimat Der Katastrophe, mi viene in mente anche il lavoro di Games Omnivorous, un gruppo di designer e musicisti che ha pubblicato una serie di dischi in vinile, in cui cover e libretto contengono regole, setting e avventure di un gioco di ruolo ed il disco ne è la colonna sonora. Sono sicuramente prodotti di nicchia, ma stanno generando sempre più interesse, e direi a ragione perché sono prodotti realizzati con una cura e una passione ammirevoli. Quello che spero è che siano i più giovani a (ri)scoprire il piacere del gioco, e che imparino a riconoscere il valore di un prodotto fisico, che sia un disco, un cd o qualcosa di più strano come quello che abbiamo fatto noi. Credo che il collezionismo musicale sia più una cosa delle nostre generazioni, che abbiamo imparato ad ascoltare la musica comprando i dischi, anche a rischio di scoprire che non ci piacevano, anziché avere l’intero catalogo musicale dell’umanità a portata di dito tra youtube, spotify e quant’altro. Ma credo anche che esista da qualche parte una tensione latente a rifiutare questo tipo di fruizione in favore di un ascolto più lento e riflessivo. Ecco, spero di non sbagliarmi in questo e di fare in tempo a vedere l’inversione di questo trend degli ultimi dieci anni o giù di lì.
Io ho giocato a Void And Descent e l’ho trovato davvero divertente e immersivo. A mio parere qualcosa che potrebbe tranquillamente conquistare molti giocatori di indie. Avete mai pensato di spingervi nel mondo delle piattaforme come Steam e simili?
Sarge: Possiamo averci fantasticato su in qualche occasione, ma al momento riteniamo di avere più cose da dire con la musica. I giochi sono esperimenti con il linguaggio che completano il concept narrativo. Ovviamente il sogno di fare qualcosa di più corposo c’è. Esistono case di produzione indipendenti che sfornano giochi incredibili. Ci piacerebbe avere la fortuna di creare un dialogo con loro un giorno.
Wulff: Il pensiero di provare a capitalizzare il più possibile sullo sforzo può esserci, ma poi torniamo sempre al cuore del progetto. Sono cose che facciamo innanzitutto per divertire i nerd in noi e per lanciare un segnale a chi come noi sente un legame tra tutti questi livelli del discorso. In questo senso le deviazioni dalla musica pura sono sì parte dell’universo che abbiamo creato, ma sono anche degli spunti di conversazione, perché alla fine dei conti ci piace che le persone ci vengano a cercare e vogliano parlare con noi delle nostre passioni comuni.

Vi faccio un’ultima domanda. Mentre scrivo osservo il bellissimo cofanetto di Addendum Two che mi sono rimediato. Trovo che sia una di quelle cose che devi assolutamente avere, un piccolo gioiellino da collezionismo. Io sono giovane e ho la fortuna di avere una cultura che mi permette di conoscere questo mondo, ma persone più grandi di me sono solite dire che queste cose sono eterne, non moriranno mai, ma osservando il mondo che cambia inizio ad avere dei seri dubbi. Mi (vi) domando: per quanto tempo ancora questo tipo di cose sopravvivranno?
Sarge: Grazie per le belle parole. Beh, sì in un certo senso queste cose sono sempre più di nicchia e danno l’impressione di star sparendo, tuttavia il supporto fisico ha ancora un grande potere. Prima di tutto perché è una testimonianza tangibile di un’esperienza che è stata fatta. Se intendiamo “quanto sopravvivranno sul mercato?” questo non lo so dire e non m’importa nemmeno riuscire a dare una risposta, visto che viviamo abbastanza ai margini.
Wulff: Non voglio ripetermi, ma spero davvero di non sbagliarmi quando dico che non vedo impossibile che i ragazzi più giovani riscoprano il piacere di tenere tra le mani un oggetto fisico, specialmente se realizzato fuori dalle meccaniche industriali e di consumo di massa (guardo a certi artisti del pop mainstream e alle loro trenta e più versioni diverse dello stesso disco). Per quanto riguarda la permanenza di queste cose nel tempo la metto molto semplicemente così: ricordo tutti i libri, dischi e giochi fisici che possiedo, ma farei fatica a dirti che album ho nella mia raccolta di questo o quel servizio di streaming, o quanti articoli, saggi, siti internet ho salvato in questo o quel device. All’oggetto fisico ho legato un ricordo, un’esperienza di fruizione, un contesto preciso, mentre nell’ambito digitale mi sembra essere sempre e solo uno spunto dietro l’altro, in una catena infinita di stimoli pavloviani. Magari starò diventando un vecchio bacchettone io, ma credo che a sopravvivere sarà quello che è capace di legarsi in qualche modo alla nostra esperienza di vita.
Io vi ringrazio del tempo concessomi a nome mio e di grindontheroad.com.


