Atto d’amore, approfondimento e guida alla discografia di uno dei gruppi imprescindibili del rock anni ’90.
Non è facile scrivere la retrospettiva di uno dei gruppi più sottovalutati e prolifici – parliamo di oltre 50 pubblicazioni in 26 anni di carriera! – della musica rock. Forse non avranno davvero inventato nulla, ma il combo di Trondheim è riuscito, come davvero pochissimi altri, a far convolvere in un unico, inimitabile, stile le più svariate influenze – grunge, metal, hard rock, pop, psych rock, folk, country, e chi più ne ha, più ne metta – per renderle proprie creando un sound unico nel panorama della musica rock e farci delle canzoni meravigliose che puntano dritto al cuore di chi li ascolta. Quello che è unico nei Motorpsycho è il modo di vivere la musica, con passione sconfinata, sangue, sudore, emozione, perfino ingenuità amatoriale di registrazioni casalinghe dei più svariati strumenti musicali. Il tutto crea un’alchimia che esula da fattori meramente oggettivi e non può che coinvolgere. Da non trascurare anche la dimensione live, in cui i nostri non si risparmiano mai e da cui viene fuori tutto il loro essere rock. Ultimamente sono apparsi quanto meno confusionari, meno ispirati e pasticcioni, ma mai può essere messa in dubbio la loro sincerità musicale.
Chi segue i Motorpsycho sa bene che molte chicche dei tre norvegesi sono nascoste nei numerosissimi EP e ivi scegliamo di annoverare quelli più significativi e ignorare raccolte e/o singoli che raccolgono brani già presenti negli album in studio pubblicati. Alcuni EP saranno lasciati senza voto o raggruppati in un’unica sezione, sperando di non far un torto a nessuno. Chi invece si approccia per la prima volta alla scoperta di questo universo non possiamo far altro che consigliare di seguire l’ordine cronologico dei principali album in studio da Demon Box in poi per trovare, tra i molteplici stili motorpsychotici, quello che parla di più al vostro cuore. Siatene consapevoli: creano dipendenza e vi verrà voglia di recuperare ogni loro uscita, anche quelle non menzionate qui, fino allo spasmo. E magari anche voglia di suonare in vecchie camere al lume di candela con un paio di chitarre acustiche, un banjo e qualche calzino di contorno.
Prima parte: Anni ’90
Lobotomizer (1991)
In principio furono l’hard rock e il grunge. Il debutto dei Motorpsycho è composto da otto tracce che si muovono tra hard rock americano di scuola Dinosaur Jr, stoner à la Monster Magnet, divagazioni settantiane in pieno stile Hawkwind e sfuriate noise piene di richiami ai Sonic Youth. Poi aggiungeteci tanto grunge/sludge marziale di matrice Melvinsiana. La maggior parte delle composizioni mostra un songwriting non perfettamente a fuoco e prolisso, ma qualche bagliore dei tempi migliori è visibile in tracce come “Hogwash“ o “TFC”. Tutto risulta però troppo annebbiato ed è palese che i nostri non sappiano ancora bene quale via intraprendere, nonostante il suono sia perfetto per chi cerca musica viva, rock senza fronzoli e garage. Da riscoprire dopo aver ascoltato tutto il resto, ma comunque godibile, soprattutto per chi è abituato a sonorità più che heavy. 6.5
8 Soothing Songs for Ruth (1992)
Formato dall’unione di due EP, questo mini album evolve i concetti espressi in Lobotomizer, migliorando il songwriting in modo sensibile. Le melodie, vero punto di forza dei Motorpsycho, cominciano a essere vincenti e le atmosfere si fanno ancora più psichedeliche e romantiche, mostrando i germogli di quel che saranno i punti forti dei norvegesi. In particolare modo “Sister Confusion”, “Lighthouse Girl” e “Step Inside” lasciano il segno e rimangono impresse, nonostante non si tratti sicuramente della proposta più originale di quegli anni, ancora troppo figlia di sonorità ispirate non troppo velatamente a Soundgarden e Dinosaur Jr.. 7.0
Demon Box (1993)
Demon Box è una commistione unica e personale di punk, folk, heavy metal, lo-fi, industrial e rock psichedelico. Demon Box è un album discontinuo ma non disunito: questa sua duplice natura è la sua forza principale, contrapposizione di oppressione e spensieratezza. Demon Box è un monolite fatto da canzoni che fanno sognare, sanguinare e coinvolgere. Demon Box è il primo, brillantissimo, diamante della sterminata discografia dei Motorpsycho, punto d’incontro perfetto per chi ha sognato di far convivere sotto lo stesso tetto gente come Pavement, Dinosaur Jr, Neil Young, Pixies, The Who, Helmet, Melvins e anche un pizzico di Throbbing Gristle. Al di là di una mera riproposizione, tutte queste influenze sono riassemblate per formare un sound inconfondibile fatto da un basso granitico e distortissimo, una chitarra tagliente, una batteria trascinata e una voce sguaiata e indomita che urla il disagio e i sogni di una generazione intera. E anche di quella successiva. 8.5
Mountain EP / Another Ugly EP (1993)
Gli EP del periodo Demon Box contengono principalmente outtakes, qualche cover e altre canzoni comunque degne di nota che sono riascoltabili nella deluxe edition di Demon Box (2014). Tra tutte segnaliamo le imprescindibili “Mountain”, cavalcata prog-psichedelica di stampo seventies di indubbia qualità rimasta fuori da Demon Box solo per motivi di spazio, la sofferta “She Used to Be a Twin” e la lo-fi “Blueberry Daydream”. Ah, andate a ascoltare la versione elettrica di “Come On In” e domandatevi anche voi come sia stato possibile non pubblicare per vent’anni tale composizione. sv
Timothy’s Monster (1994)
Timothy’s Monster è il lavoro che consacra i Motorpsycho ai posteri, il disco dove tutte le numerosissime influenze del gruppo confluiscono in un arcobaleno emozionale composto da gradazioni di colore nitidissime: c’è la trasandatezza dei Dinosaur Jr., c’è il romanticismo dei Pavement, c’è la psichedelia dei Jefferson Airplane. Tutto viene reinterpretato in maniera personalissima e passionale, creando un’intersezione musicale senza eguali, usando i più svariati strumenti musicali (theremin, mellotron, marimbe, sarmples, rhodes piano, banjo, solo per citarne alcuni) e un’attitudine garage rock poliedrica all’insegna della ricerca musicale che segna la fine della fase grunge ultra-distorta e l’ingresso nell’olimpo dell’indie rock anni 90, in cui le distorsioni si fanno meno potenti ma più taglienti. Le dilatazioni e i viaggi sensoriali di “The Golden Core”, “Giftland”, “Watersound”, “The Wheel” sono leggendarie, mentre la leggerezza e la spensieratezza di “Feel”, “Now it’s Time to Skate”, “Trapdoor”, “Kill Some Day”, “Sungravy” lasciano una malinconia di fondo delle melodie vocali che da qui in poi diventerà il segno distintivo dei Motorpsycho. L’unico momento di furia incontrollata e devastante viene lasciata alla compulsiva “Grindstone”, unico collegamento col passato recente dei norvegesi. È questo il suono delle cose che non tornano più, della giovinezza passata, della passione amorosa impetuosa che lascia un’ombra indelebile nel nostro cuore. È il suono dei nostri mostri, delle nostre paure e delle nostre speranze. 9.0
Wearing Yr Smell EP (1994)
Menzioniamo qui solo questo EP per segnalare un gran numero di B-side (tutti disponibili nella deluxe edition di Timothy’s Monster (2010) per i più curiosi), ulteriore testimonianza di quanto abbiano prodotto i Motorpsycho in questi anni. In pratica c’è a disposizione una mole tale di canzoni che farebbe impallidire chiunque. E, seppur la natura prettamente amatoriale di molte di esse, non si tratta di composizioni sotto tono, anzi: ci sono interi gruppi che baratterebbero la loro discografia per una “Innersfree” o per una “On the Toad Again”. sv
The Tussler (1994)
In tutto questo stato di grazia prolifico dal punto di vista compositivo, sia per quantità che per qualità, i tre norvegesi e i loro amici trovano anche il tempo di comporre una colonna sonora per uno spaghetti western immaginario diretto da un fantomatico regista dal nome improbabile. Il risultato è una rivisitazione in stile american-country di alcuni pezzi già conosciuti e altri pezzi composti ex-novo in cui è palese l’amore e la passione per la musica di questi ragazzi. Infatti vengono usati i più svariati strumenti – Gebhardt nel frattempo ha anche imparato a suonare il banjo – tra cui steel guitars, mandolini e altre trovate contadine, per comporre tracce che fanno sorridere e, perché no, passare una piacevole quarantina di minuti. 6.5
Blissard (1996)
Con Blissard il suono sporco di Timothy’s Monster si fa più patinato, più indie-rock e si spinge la ricercatezza delle melodie in direzioni più pop, mantenendo comunque sempre fede ai loro dogmi musicali imposti dalla psichedelia e dai riverberi. I Motorpsycho esplorano la forma canzone in modo sintetico, mischiando per l’ennesima volta le carte in tavola e abbandonando in parte la forte componente lo-fi amatoriale fino a questo punto parte integrante del loro essere. I dettagli divengono più curati per formare una malinconia di fondo romantica e precisa. I norvegesi appaiono a proprio agio mentre si muovono deformando il muro sonico dei Sonic Youth e facendolo scontrare con eteree realtà shoegaze e dream pop, accompagnati da un’ispirazione che sembra senza fine. Il lotto è composto anche stavolta da tracce destinate a essere delle instant classics per tutti gli amanti del gruppo e non solo. Mostruosi. 8.5
Nerve Tattoo EP / Manmower EP (1996)
Questo rappresenta il principio del periodo in cui una serie di chicche di inestimabile valore faranno comparsa nella miriade di EP che vedranno la luce tra il 1996 e il 1999, come per altro testimoniato dalla deluxe edition di Blissard (2012). In particolar modo risalgono a questo periodo “Flick of the Wrist”, “Mad Sun”, “The Matter with Her”, “Sterling Says” e la versione originale di “Stalemate”: canzoni semplici, coinvolgenti, ma che lasciano una voragine nel cuore. Brani che suonano sempre attuali anche dopo quasi vent’anni. sv
Angels and Daemons at Play (1997)
Altro giro, altra corsa. Le atmosfere pop di Blissard virano con decisione verso un sound unico, denso e granitico. Angels and Daemons at Play è più cupo e chirurgico del suo predecessore e sprizza anni ’90 da ogni suo poro. La ricerca nelle melodie si muove verso una romantica caduta negli abissi distorti dell’animo umano (“Heartattack Mac”, “Timothy’s Monster”, “Sideway Spiral”), mentre viene espressa tutta la malinconia di fondo delle composizioni anche nelle tracce più easy-listening del lotto (“Starmelt\Lovelight”) o in quelle più catchy (“Like Always”, “Walking on the Water”, “Like Always”) le quali suonano precise e pesanti come mazzate sulle gengive. C’è spazio anche per momenti più introspettivi ed emotivi (“Pills, Powders and Passionplays”, “Stalemate”), ma la maturità artistica dei Motorpsycho viene fuori dalla monumentale “Un Chien d’space”, in cui l’ossessiva melodia portante viene deframmentata, accelerata, esplosa, ricomposta in un mare di theremin e sarmples lievi, ma alienanti nel loro crescendo. Questo è il disco della maturità, in cui tutte le lezioni imparate dai Motorpsycho in questi anni confluiscono in una forma canzone alternative ben incastonata tra sperimentazione e immediatezza. 8.0
Have Spacesuit, Will Travel EP / Starmelt EP (1997)
Degli EP che formano Angels and Daemons menzioniamo soltanto Have Spacesuit Will Travel, che contiene l’omonima traccia esclusa dal disco del 1997 solo per motivi di spazio: una cavalcata space acid-rock in cui l’improvvisazione confluisce in un free-jazz noise da pensare come contrapposto alla delicatezza eterea della monumentale “Un Chien d’Espace”. Altro discorso invece per Starmelt EP, che meriterebbe di essere considerato un vero e proprio mini album, forse il miglior EP di questi anni. Il lotto che compone questa uscita non ha una canzone trascurabile, risultando compatto e trascinante. E poi fa la sua comparsa una certa “Wishing Well”… sv
Trust Us (1998)
Difficile trovare un altro gruppo capace di inanellare una tale sequenza di dischi ispiratissimi come quelli pubblicati dal 1993 al 1998 dai tre norvegesi. Passa solo un anno dal precedente AADAP, e i Motorpsycho ci consegnano il loro capolavoro, quel Trust Us che rimarrà un picco ineguagliato nella discografia dei ragazzi di Trondheim. Ancora una volta lo spettro emotivo delle composizioni è notevole: oltre a mature composizioni più pop (“Ozone”, “Hey Jane”, “Mantrck Muffin Stomp”), si dà più spazio a un certo groove dai sapori Hendrixiani, fatto di psichedelie in crescendo evolute lungo estese pièce strumentali (“Taifun”, “Radiance Freq.”, “577”) secondo gli stilemi indicati anni prima da Grateful Dead o Led Zeppelin. Ma non è solo una mera riproposizione: il tutto viene psychonautizzato e intensificato dalle noti naturali dei norvegesi, sempre più padroni dei loro mezzi e della loro maturità. Il gigantesco muro sonoro viene eretto tramite composizioni space-rock a volte potenti (“Evernine”) a volte noisy/caotiche (“Psychonaut”, “Superstooge”), ma in ogni caso eruzioni d’improvvisazione hard rock. In questo contesto le armonie melodiche sono sempre memorabili, come nell’inno generazionale “Vortex Surfer” – canzone sempre capace di donare chili di pelle d’oca – o nella trama variopinta e malinconica vissuta in “The Ocean in Her Eye”. È l’improvvisazione che la fa da padrone in Trust Us, la quale viene vissuta con passione e sincera personalità, senza momenti di stanca o pedissequi. Ogni nota suonata in questo doppio disco rappresenta la vera natura del rock. Pathos, groove e tanto sudore. 9.0
Hey Jane EP/ Ozone EP (1998)
Gli EP della fase Trust Us contengono più episodi di divertissement e sperimentazione pura (in cui è Gebhardt il padrone incontrastato) di quanto fatto in precedenza, e confermano la prolifica qualità senza eguali dei Motorpsycho, sempre più in stato di grazia. Canzoni come “Back to Source” o “Young Man Blues” mostrano il lato più seventies dei nostri, come già mostrato in Trust Us, tra hard rock, blues e noise psichedelico. sv
Roadwork Vol.1 – Heavy Metall Iz a Poze, Hardt Rock Iz a Laifschteil (1999)
Dopo anni di onorata carriera è anche tempo di rendere il giusto onore ad un’altra dimensione in cui i Motorpsycho danno il meglio di sé, la sede live in cui mai si sono risparmiati, mostrando un’intensità, un dinamismo e una coesione invidiabili. Tra le tracce si registrano una versione da 30 minuti di un’assurda e delirante “Chien d’Espace”, una “Black to Comm” presa in prestito dagli MC5 trascinante e spudoratamente rock’n’roll e poi il picco emozionale ineguagliato rappresentato da una “Vortex Surfer” catturata in tutta la sua straziante bellezza. Un live dei Motorpsycho di quegli anni non era solo un semplice concerto, ma un’esperienza di musica passionale che un disco audio può solo parzialmente riprodurre. 8.5