Non è facile parlare di Pale Folklore degli americani Agalloch. Non perché si tratta di un lavoro con il quale ormai tutti coloro che frequentano un certo tipo di (black) metal sicuramente si saranno imbattuti, restandone più o meno colpiti. E nemmeno perché si tratta di un lavoro di una bellezza rara e inarrivabile (è bello, altroché se lo è, ma è ovvio che esiste anche qualcosa di meglio). Non è facile perché è assolutamente indescrivibile, è qualcosa che ti avvolge, che ti si appiccica addosso come una resina, che ti inebria con un profumo che sa di umido, di fumo, di autunno, che ti stordisce e ti affascina. Anche il non-genere che hanno sempre portato avanti i Nostri fino al momento del loro scioglimento ha sempre visto contaminazioni di vario tipo, in linea di massima tutte quante presenti, in nuce, in questo album del 1999, LP di debutto del gruppo di Portland riedito in versione deluxe dalla Eisenwald. C’è il black metal atmosferico a fare da struttura portante alle otto tracce presenti in Pale Folklore, che si realizza in prima battuta nello screaming lontano e sofferente, estremamente evocativo, di John Haughm, da sempre e nel bene o nel male indiscusso mastermind del gruppo. Le chitarre sono sì taglienti ma non algide, portano con loro un tepore autunnale e malinconico, e anche quando si rivestono di aggressività rimandano a certe cose sentite nel post-rock e nel neofolk, due generi assolutamente cari agli Agalloch. C’è poi il gothic e la darkwave, assai presenti in quest’opera in particolare, che ammantano il tutto di un alone nostalgico, lontano e mesto, con cadenze mai troppo accelerate e tempi che in alcuni momenti riecheggiano il doom. E infine c’è la Natura, protagonista assoluta della discografia di questi ragazzi, padrona indiscussa e linfa vitale dalla quale il gruppo attinge ogni singola nota: la Cascadia, e di conseguenza il Cascadian Black Metal, sottogenere del quale gli Agalloch sono stati tra i padri fondatori proprio con questo lavoro.
Non ha senso andare a parlare di Pale Folklore andando a citare una traccia piuttosto che un’altra, descrivendone le progressioni e le regressioni, la tecnica usata o le melodie: in ventiquattro anni di vita sono stati spesi fin troppi fiumi di parole per farlo. In effetti non ha molto senso fare la recensione di una reissue, ma in questo caso c’è una forte spinta emotiva dietro questo scritto, c’è un’urgenza di sottolineare ancora una volta l’importanza di questo gruppo nel panorama metal tout court. Simpatici o antipatici non si può non constatare come l’operato dei Nostri, in questo debutto in particolare, abbia contribuito in maniera importante a dare lo slancio vitale ad altri gruppi che a loro si sono ispirati, a un sottogenere tutto, e ad una poetica musicale imponente e maestosa finalmente in grado di tradurre prima di molti altri la potenza della Natura del Pacific Northwest (e se pensate ai Wolves in the Throne Room ricordatevi che il loro primo vagito musicale viene registrato diversi anni dopo questo capolavoro). Tutte le volte che il sottoscritto ha ripreso in mano Pale Folklore ha percepito un senso di responsabilità e di imponenza sin dal trittico iniziale, la suite “She Painted Fire Across the Skyline” è sempre stata come partire per un lungo viaggio senza ritorno: un trip musicale che, immancabilmente, ti avrebbe assorbito senza possibilità di staccarti se non al termine del tutto. E così è stato anche stavolta: mentre questi caratteri vengono trascritti al computer stanno passando in cuffia le note di “Hallways of Enchanted Ebony”, brano che di fatto apre la seconda parte di Pale Folklore, ma i quasi venticinque minuti già trascorsi sono passati come un soffio, e le immagini di imponenti cascate, di foreste fitte e buie, di albe e tramonti su laghi sterminati o su scogliere frastagliate si sono già affacciate e alternate più volte nella mente. Ma un tratto rimane costante: quell’odore già citato di autunno, di antico, quell’aroma di legno bruciato che ha da sempre caratterizzato questo disco, e solo questo. Non perché i successivi due full della band siano stati meno belli, sono stati semplicemente diversi, con altri stili ed altri odori alla base, ma tutti ugualmente belli, una maestosa triade che tutti, e qui mi spiace essere assolutamente soggettivo nella mia affermazione, dovrebbero ascoltare e conoscere.
Con l’avvicinarsi dell’autunno vi suggeriamo di dedicare una giornata a voi stessi, di andare nella natura, di camminare, di perdervi per un paio di ore, con Pale Folklore degli Agalloch. Vi sentirete come a casa, e se sarete in grado di entrare nel mood di questo lavoro (se ancora non ci siete riusciti!) vivrete delle esperienze sensoriali che rimarranno con voi a lungo. Un disco di emozioni e di odori prima ancora che di musica.
(Eisenwald, 2023)
1. She Painted Fire Across the Skyline pt. 1
2. She Painted Fire Across the Skyline pt. 2
3. She Painted Fire Across the Skyline pt. 3
4. The Misshapen Steed
5. Hallways of Enchanted Ebony
6. Dead Winter Days
7. As Embers Dress the Sky
8. The Melancholy Spirit