
Non possiamo non partire sottolineando come anche gli Agriculture siano orientati a seguire quel nostro stesso pensiero che cerchiamo di far passare da anni come il pericolo più grande in ambito di fruizione musicale. Quello cioè secondo cui siamo nel pieno del degrado, determinato dalla tendenza, sempre più diffusa, ad usare la musica come sottofondo mentre si fa dell’altro, in un approccio superficiale che non tiene conto di ciò che si sta ascoltando. L’idea che regge The Spiritual Sound, (come tengono loro stessi a rimarcare in apertura delle note allegate al disco) va esattamente in contrasto con tutto questo, e lo fa cercando di smembrare l’idea della playlist, o della musica d’atmosfera. Al netto di questa, piccola, se non inutile soddisfazione, che sentivamo doverosa (non fosse altro che per noi) passiamo all’album. Mai come in questo frangente emerge netta la contrapposizione delle due anime che compongono la band. Entrambe parte sostanziale della band, ma entrambe al tempo stesso indirizzate verso l’idea di mantenere questa solidità di fondo, intorno a cui ruota l’armonia del progetto, proprio grazie alla contrapposizione delle due differenti posizioni. Può sembrare una forzatura, ma, ascoltando il disco ci si può rendere conto che, realmente, si tratta di un qualcosa che tende al medesimo obiettivo, e cioè quello di lasciar fluire tutta la schizofrenia sonora che un album come The Spiritual Sound trasuda. Un album in cui le due controparti si fronteggiano, posizionandosi in modo del tutto antitetico, ma portando a casa il medesimo risultato, e cioè quello di rovesciarci addosso un carico di emozioni straordinariamente intenso, che non può fare altro che sottometterci, il tutto, indipendentemente da chi sia a comandare il gioco.
Guardando al disco a distanza, tralasciando per un attimo i dettagli di cui sopra, non possiamo che convenire sul fatto che quella degli Agriculture è una realtà proiettata verso un domani radioso, che è fortemente consapevole di aver realizzato un album che ha fermato il tempo e attirato moltissime attenzioni. Il tutto è stato reso possibile grazie alla capacità della band californiana di riuscire a contestualizzare le due anime che la compongono in un discorso unico (anche se da un punto di vista pratico nettamente diviso in due) funzionale e credibile. The Spiritual Sound è un lavoro fortemente pervaso da un carattere che sposa la ricerca impermanente della bellezza (interiore) in un incontro/scontro che riesce a risultare godibile, al netto di tutto. Sono loro stessi a sottolineare come il disco sia da suddividere in due parti. Una sul primo lato, quello più esplosivo, dove il carattere dirompente di Dan Meyer emerge in modo incontrastabile, andando a cantare di intangibilità del quotidiano. E una sul secondo, in cui è Leah Levinson a condurre le danze, in un contesto molto più meditativo, dedicato alle sfide contemporanee, dall’identità queer al collasso sociopolitico. Si tratta di una scelta in controtendenza, che si prende i suoi rischi e che può anche rivelarsi controproducente. Soprattutto se si tende (giustamente) a guardare l’album nella sua completezza. È un qualcosa su cui ancora dobbiamo ragionare a fondo. Di certo, da un punto di vista di resa sonora, il disco funziona, ha una sua fluidità, anche se ammettiamo che ci sarebbe piaciuto se avessero fuso il tutto, senza compartimenti stagni. Ma questa è la nostra opinione, che conta meno di zero.
Ci piacciono entrambe le versioni degli Agriculture, ma ci piacerebbe di più una versione 2.0 che riesce a mescolare entrambe in un qualcosa di diverso. Sta di fatto che, al netto di questo, l’album è affascinante, forse, per assurdo, grazie proprio per questa sua contrapposizione che permette di pensare a un domani nemmeno troppo lontano in cui non sappiamo quale forma potrà prendere il progetto. Quello che è certo è che gli Agriculture sono potenzialmente senza limiti, e che non si spaventano nel momento in cui affrontano il processo creativo. Riescono comunque ad essere credibili. Nonostante tutte le critiche. In chiusura un’ultima cosa, un dettaglio che mi fa piacere sottolineare e che potrebbe – magari – sottintendere, un domani, chissà, un qualcosa che ci farebbe molto felici. Sul brano di chiusura (“The Reply”) abbiamo come ospite Emma Ruth Rundle. Hai visto mai, che…
(The Flenser, 2025)
1. My Garden
2. Flea
3. Micah (5:15am)
4. The Weight
5. Serenity
6. The Spiritual Sound
7. Dan’s Love Song
8. Bodhidharma
9. Hallelujah
10. The Reply


