C’era una volta il cascadian black metal. Circa quindici anni fa, forse un po’ meno, iniziò ad arrivare anche in Italia l’onda lunga di un neonato genere musicale che usciva pian piano dal sottobosco del nord ovest degli USA per diffondersi anche nel vecchio continente, prima timidamente, poi come un vero e proprio fuoco. E come spesso accade la vampata fu grande: durò qualche anno, con picchi notevoli ed una pletora di emuli sparsi ovunque che tentavano di intraprendere quella fortunata strada. Il genere ebbe successo, è innegabile, con una formula che univa al black atmosferico (figlio della seconda ondata norvegese) ampie parentesi strumentali folk e sciamaniche, condendo il tutto con delle strutture “à-la post rock” mi verrebbe da dire, visti i crescendo emozionali che erano in grado di generare. Poi la fiamma pian piano perse mordente, divenne un fuoco distante, freddino, incapace di ferire e quasi di scoppiettare se non in rari casi, e i tizzoni rimasero per molto quiescenti sotto la cenere. Ogni tanto riprendevano vigore, ma il vento soffiava già verso altre direzioni e non aiutava certo il fuoco a rinnovarsi.
Autunno 2021: dopo sei anni di silenzio tornano gli Alda, figli prediletti, tra i pochi rimasti, della corrente cascadian, e il loro riaffacciarsi sulle scene fa divampare nuovamente il fuoco. Già i Wolves in the Throne Room avevano abbondantemente riattizzato la fiamma sopita con il loro ultimo Primordial Arcana, ma questo A Distant Fire fa l’effetto di un getto di benzina proprio nel cuore dei tizzoni ardenti. Si parte piano, cullati da un arpeggio di chitarra acustica che ci introduce nuovamente nel mondo degli Alda, un fitto bosco di alte conifere che come menhir ci invitano alla meditazione, a riappropriarci della nostra natura e a respirare a pieni polmoni immersi nella sinestesia della foresta. Un dolce benvenuto al quale fa da contraltare il primo singolo scelto dalla band, “Stonebreaker”, che riprende esattamente il discorso da dove lo avevamo lasciato con Passage: un vortice furioso di chitarra basso e batteria, un saliscendi emozionale che come le onde del Pacifico si infrange più e più volte senza sosta sugli scogli, travolgendo e avvolgendo chiunque gli si pari davanti. Gli Alda sono sempre gli stessi, e per chi li ha amati e ha amato il cascadian un sorriso ebete e compiaciuto si disegna sul viso mentre i minuti scorrono.
A Distant Fire suona ancestrale e feroce, ma allo stesso tempo sviluppa molto anche il lato folk della band, spingendosi molto oltre i confini del post-rock/post-metal quando si parla di crescendo delle strutture e di emozioni. La summa, l’apice del lavoro, si tocca con la traccia conclusiva (che dà anche il titolo al disco), sedici minuti nei quali i Nostri buttano il cuore, la voce, le lacrime ed il sudore, un pezzo che dire emozionante è poco, ad avviso di chi scrive tra i più rappresentativi per il cascadian. Non è il caso di cadere in facili e scontati paragoni con l’ultimo lavoro dei Wolves in the Throne Room, perché nonostante l’origine geografica e il genere musicale in comune si tratta di due approcci diversi. Ma resta il fatto che con A Distant Fire siamo di fronte ad un disco corposo, ricco di spunti e per nulla ruffiano, in grado di andare dritto al cuore di chi lo ascolta e di essere apprezzato sia dai fan di lunga data del gruppo sia da chi ancora non conosce gli Alda. Forse resteranno tra gli ultimi a portare la “fiamma del cascadian”, ma finché lo faranno in questo modo, e con lavori di questo calibro, sarà sempre un bel sentire.
(Eisenwald, 2021)
1. First Light
2. Stonebreaker
3. Drawn Astray
4. Forlorn Peaks
5. Loo-Wit
6. A Distant Fire8.0