“E che diamine, è umano, se non altro per la legge dei grandi numeri lo sbaglierà un album, prima o poi… e quale migliore occasione di questa, visto che il piano di volo prevede una raccolta di brani composti in passato e non inseriti nelle tracklist dei platter fin qui rilasciati?”.
Confesso di aver reagito più o meno così, all’annuncio dell’arrivo della nuova creatura di casa Antimatter, pronto a giustificare anche un’eventuale delusione nel caso in cui il materiale proposto fosse stato precedentemente accatastato per inadeguatezza o livello qualitativo poco congruo rispetto alle perle inanellate fin qui dal combo capitanato dal deus ex machina Mick Moss. Certo, restava una punta di rammarico per una scelta apparentemente “al ribasso”, a maggior ragione tenuto conto che l’ormai prossimo traguardo del quarto di secolo di carriera meriterebbe piuttosto un supplemento di attenzione, ma i bonus accumulati in passato potevano comunque garantire una ragionevole assoluzione. E invece…
E invece niente di più sbagliato, tocca cospargermi il capo di cenere e chiedere scusa per aver dubitato, perché dalle mani dell’artista di Liverpool esce l’ennesimo capitolo coi tratti dell’imperdibilità, pronto a ribadire che, per chi ami attraversare lande romanticamente segnate dai riflessi di una luce crepuscolare e dalle nebbie sottili degli abbandoni malinconici, pochi altri moniker in circolazione offrono un approdo altrettanto sicuro. Dagli esordi segnati dal sodalizio artistico con l’ex Anathema Duncan Patterson fino al magnifico Black Market Enlightenment che, cinque anni fa, aveva certificato il raggiungimento di una maturità artistica clamorosa, Mick Moss ha impresso su ogni solco il suo marchio di fabbrica, fatto di un minimalismo cantautorale in cui eleganza e raffinatezza non sono mai un vuoto orpello formale ma chiave di volta imprescindibile per suscitare il coinvolgimento emotivo. E proprio da qui riparte questo A Profusion of Thought, per ribadire che, quando le Muse, Apollo o il più prosaico Fato ti hanno concesso in dono classe, semplicità e un’ispirazione in servizio permanente, non serve imbarcarsi in roboanti imprese che tentino di riscrivere la storia di un genere e di spostarne i confini. Non stupisce, quindi, che anche stavolta la prima nota di merito debba essere spesa per la straordinaria capacità di condurre i viaggiatori in territori prog/alternative rock ad altissimo affollamento senza la minima sensazione di fatica e, soprattutto, tenendo lontanissimo il tarlo del “già sentito… e fatto meglio” che è letale, su queste frequenze. Il merito principale, come sempre, è da attribuire innanzitutto alla prova al microfono di Moss, che col passare delle release è assurto dalla modalità strumento aggiunto a quella di orchestra completa in grado di disegnare arcobaleni sonori in continua e caleidoscopica ricombinazione, permettendosi il lusso di mantenere sostanzialmente intatta la forma-canzone tradizionale senza che il rito strofa/ritornello/assolo risulti mai stucchevole o prevedibile. Ad accompagnare un comparto vocale così presidiato provvede in prima istanza l’altro grande pilastro della poetica degli Antimatter, che potremmo riassumere in una delicata sensibilità che permea i brani portandoli quasi sempre ai confini dell’etereo ma riprendendoli un attimo prima che si disgreghino, trattenendoli così in una sorta di orizzonte degli eventi permanente in cui Tempo e Spazio perdono il loro potere e si trasformano in Visioni. Sull’altro piatto della bilancia, però, attenzione a non confinare l’artista in una dimensione da chansonnier malinconicamente dimesso o, peggio ancora, lamentoso, perché quasi ogni traccia valorizza del pari anche il versante del ritmo, grazie al lavoro sopraffino delle sei corde (acustiche ed elettriche che siano) e al ricorso mai decorativo e sempre di sostanza a strumenti almeno parzialmente eretici rispetto all’alveo principale del fiume rock, partendo da sax e flauti per approdare alla qamancha, antico strumento tradizionale caucasico ad arco che avevamo già apprezzato nella favolosa “Existential”, più che probabile vertice della tracklist del predecessore e anche stavolta incantevolmente maneggiata da Vardan Baghdasaryan. Dieci tracce per poco più di cinquanta minuti di ascolto complessivo, A Profusion of Thought è uno scrigno che raccoglie gioielli adattissimi anche a una fruizione parziale in modalità stand alone, ma per apprezzarne davvero sfumature e carati è altissimamente consigliato un viaggio senza soluzione di continuità, che consenta a nuvole e vapori di avvolgerci rendendo magicamente incantevole il cammino. Ecco allora che l’opener “No Contact” può allungare lentamente e sinuosamente le sue spire accumulando quasi impercettibilmente tensione prima di convocare il sax di Paul Thomas per un finale da fumoso piano bar, ma ecco anche, subito dopo, i rintocchi electro di Paranoid Carbon, che azzardano un retrogusto trip-hop tormentato però da un cantato inquieto che trascina l’intero brano a un esito teatrale. A questo punto siamo già ascesi ad una quota qualitativamente altissima e il primo potenziale Everest assume le sembianze di “Heathen”, pezzo a lungo sorretto da un’andatura darkwave ottantiana su cui si avventa prima un eccellente assolo di sax e poi più di qualche venatura space. In alternativa, si può puntare sul tiro depechemodiano di “Templates” o, con motivi non meno fondati, sulla perla più languida della compagnia, “Fold”, ballad dall’apparente, disarmante semplicità chiusa da un assolo struggente in cui vibrano le migliori corde melodico-crepuscolari dell’album. Dopo una simile, clamorosa cinquina d’apertura, la seconda metà della tracklist è forse un po’ meno travolgente (“Redshift” ha un carico acustico un po’ troppo accentuato, al netto di un buon contributo di flauto e sax e “Breaking the Machine” fatica a tratti a emergere, anche se il finale piazza comunque una buona zampata vincente), ma “Fools Gold” esalta a dovere prima la vena narrativa da cantastorie di Moss e poi brilla per un inserto intessuto di giochi d’ombre, mentre “Entheogen” torna a solcare rotte electro con una resa vagamente new-wave impreziosita dalle incursioni orientaleggianti della qamancha e dai delicati gorgheggi di Irish C. Ma i muscoli e l’energia? – dirà qualcuno a questo punto – Et voilà, il piatto è servito con la conclusiva “Kick the Dog”, gran pezzo trascinante e pronto a salire sui palchi live per ricordare a tutti che le radici della band sono saldamente piantate in terra rock.
Dieci tracce che abbiamo rischiato di perdere, dieci meraviglie rimaste finora nel cassetto e che vedono fortunatamente la luce dimostrando che la scelta dei titoli da inserire in ogni release è davvero un rompicapo per un artista che non conosce il significato della parola mediocrità, A Profusion of Thought è un regalo inatteso che arricchisce il catalogo Antimatter di un altro capitolo obbligatorio e irrinunciabile. Mai dubitare di Mick Moss, che la smentita arriva sempre puntuale… fortunatamente.
(Music In Stone, 2022)
1. No Contact
2. Paranoid Carbon
3. Heathen
4. Templates
5. Fold
6. Redshift
7. Fools Gold
8. Entheogen
9. Breaking the Machine
10. Kick the Dog