Gli Årabrot raggiungono quota nove e stavolta lo fanno in grande stile. Chi magari non conosce il duo in questione (in origine trio), che si avvale sempre di ottimi musicisti per album e tour, sappia che è una sorta di mosca bianca nel panorama rock’n’roll ed ha sempre preferito giocherellare con i generi inglobando sempre idee dai territori sonori più disparati come il doom, il post-punk, il noise ed anche lo sludge. Questo Norwegian Gothic, tra l’altro, vede anche delle collaborazioni piuttosto importanti. A Kjetil Nernes e Karin Park si affiancano dei veri e propri pezzi da novanta: Lars Horntveth (Jaga Jazzist), Jo Quail, Tomas Järmyr (Motorpsycho), Anders Møller (Turbonegro, Ulver) e Massimo Pupillo (Zu).
A quanto espresso dallo stesso mastermind, Kjetil, questo disco è una sorta di summa dei precedenti lavori ed allo stesso tempo una rappresentazione di quello che potrebbe avvenire in futuro. La verità sta un po’ nel mezzo dato che quest’opera, oltre a rappresentare un corposo numero di tracce, spazia molto e lo fa forse anche di più che in passato. C’è una sorta di fusione fra l’irruenza noise di The Gospel ed alcune venature sperimentali di Who Do You Love ma portate proprio all’esasperazione. Il rumore assordante delle bastonate chitarristiche è ben consolidato nella distorta “Fell It On” ma si dipana in mille direzioni differenti come l’impressionante muro sonoro di “The Lie”, con le sue melodie devastanti, o la sabbathiana “Carnival Of Love” piena di atmosfere occulte anni ’70. Nel mezzo c’è un mondo da scoprire e che potrebbe anche essere eccessivo per qualcuno ma questo è lo stile degli Årabrot. Il combo nordico diventa quasi progressive rock nel suo riuscire a combinare così tante sfumature ampliando le sue visioni lisergiche nel drone/ambient di “Hallucinational” dove la voce di Karin si erge nel firmamento, portando alla mente acts oscuri come la nostrana Sophya Baccini, per poi tuffarsi nelle allucinazioni sonore dell’acid rock ossessivo di “Deadlock”, in cui la batteria qui si fa esplosiva. A bilanciare cotanta sperimentazione ci sono episodi più quadrati come il post-punk delle micidiali “The Crows” e “(This Is) The Night” dove la sezione ritmica ha la possibilità di mettersi più in mostra, oppure deflagranti riff blues modello carro armato (“Hounds of Heaven”) che si evolvono in deliri stoner/doom che non fanno che dimostrare quanto i musicisti coinvolti riescano a far cantare letteralmente i propri strumenti, riuscendo ad intrecciarli ed amalgamarli in maniera perfetta (“Kinks on the Heart”). La voce, da sempre punto cardine, funziona nuovamente alla grande con quel suo timbro particolare in bilico fra l’acido e il rabbioso ed accompagna la band sia nelle scorribande più distruttive che in quelle orientate verso lidi più raffinati come il jazz allucinato di “The Moon Is Dead” o la contorta “Hailstones for Rain”, senza contare i meravigliosi orgasmi vocali in “Hard Love”. Strano ma vero i ritornelli funzionano molto bene ed una delle peculiarità del disco è il riuscire a coniugare l’immediatezza con la complessità strumentale senza che nessuno prevalga.
Gli Årabrot sono un gruppo particolare perché ad ogni nuovo disco, live compresi, non si sa mai cosa aspettarsi e nonostante alcuni elementi ricompaiano sempre, come è giusto che sia, non si ha mai la sensazione di aver ascoltato la stessa cosa in passato. Norwegian Gothic è un’opera folle, storta e schizzata che riconferma la band come una delle più pazze e deviate del panorama musicale odierno. Magari non sforneranno dei capolavori, e non ci sono neanche tanto lontani, ma in fondo va bene anche così.
(Pelagic Records, 2021)
1. Carnival of Love
2. The Rule of Silence
3. Feel It On
4. The Lie
5. The Crows
6. Kinks Of The Heart
7. Hailstones For Rain
8. The Voice
9. (This Is) The Night
10. Hard Love
11. Impact Heavily Onto The Concrete
12. Hounds Of Heaven
13. Deadlock
14. The Moon Is Dead
15. You’re Not That Special