Sono passati otto anni dall’ultimo disco di Arctic Plateau, al secolo Gianluca Divirgilio, cantautore romano autore di due album (escluso il presente lavoro) pubblicati entrambi dalla Prophecy Productions. Passano gli anni, cambia l’etichetta ma il suono del Nostro si conferma ancora valido e convincente.
I primi anni duemila sono stati un periodo d’oro per una scena musicale romana di un certo tipo: band come Novembre, Klimt 1918, Room with a View, En Declin, The Sun of Weakness, The Foreshadowing sono nate o hanno hanno visto in quegli anni momenti d’oro. Gli stili potevano magari essere diversi ma erano tutte accomunate da uno stesso mood malinconico, nostalgico: proprio in quegli anni Arctic Plateau pubblica il suo primo album, On a Sad Sunny Day, caratterizzato da una copertina perfetta per rappresentare l’indole del Nostro. Quella stessa foto, quel mare fotografato alcuni anni fa, quella sensazione di nostalgia e malinconia data dai colori sfasati delle immagini potrebbe essere riutilizzata anche nel presente Songs of Shame, e comunicare le stesse identiche sensazioni.
Arctic Plateau ci propone un indie rock contaminato da shoegaze, new wave, dark wave, dream pop e post-punk: riferimenti diretti potrebbero essere i The Cure (periodo Disintegration), gli U2 di The Unforgettable Fire, gli Anathema di metà carriera e, rimanendo sul suolo italico, i Klimt 1918 di Dopoguerra/Just in Case We’ll Never Meet Again. Siamo dunque di fronte a undici pezzi caratterizzati da un basso/batteria quadrati e pulsanti, che contrastano l’ariosità e la forte vena melodica delle chitarre. Rimane costante un bel senso di piacevole malinconia, qualcosa che ti riscalda ma che percepisci essere lontana (come il sole nelle giornate invernali). Citando le parole riportate nel promo kit, “questo album è un compendio di amori perduti, occasioni perse, rimorsi mortificanti e un trauma duraturo, che sia questo autoinflitto o meno“: mai parole furono meglio scelte per definire Songs of Shame, un album dalle tematiche decadenti, introspettive, ma in un certo qual modo anche speranzoso per il futuro.
Andando a sottolineare i pezzi migliori del lotto si riscontrano alcune (piacevoli) difficoltà: il disco è un susseguirsi di ottime canzoni, con forse un paio o tre momenti meno incisivi, ma che sono assolutamente controbilanciati dalla qualità complessiva del resto. Già la partenza affidata a “Song of Shame” parla chiaro: gli amanti dei Klimt 1918 e dei The Cure si sentiranno subito a casa, e chi già conosce il progetto di Divirgilio sarà confortato nel risentire questi suoni. Le successive “Saturn Girl”, “Dark Rising Sun”, “Venezia” e “Red Flowers” non fanno che confermare queste sensazioni positive, alternate a brani un po’ meno ispirati ma non per questo meno validi.
Songs of Shame è un album che colpisce e si lascia apprezzare, costruito su due livelli di ascolto, uno più immediato ed orecchiabile e uno più intimo e ragionato, al quale si accede dopo che si è familiarizzato con la proposta del Cantautore. In generale è un graditissimo ritorno sulle scene per Arctic Plateau, che ci regala un terzo disco maturo, forte e coinvolgente.
(Shunu Records, 2021)
1. Song of Shame
2. Saturn Girl
3. No Need to Understand You
4. Dark Rising Sun
5. We’re Never Falling Down
6. The Bat
7. L’arsenale
8. Venezia
9. One Way Street
10. Red Flowers
11. Chlorine (Bonus Track)