We Came Here to Grieve è il quarto album in studio degli americani Ashbringer. Nati come creazione solista di Nick Stanger, già dal secondo album il progetto ha preso i contorni di una band a tutti gli effetti, sebbene l’anima da cui tutto scaturiva restava sempre il polistrumentista del Minnesota. Quest’opera arriva quattro anni dopo Absolution ed è forse il primo vero e proprio lavoro collettivo nel quale tutti i componenti del gruppo hanno messo del loro, e si sente. Ashbringer ha sempre avuto un’anima multiforme e sfaccettata: nato sotto le fulgide stelle del Cascadian black metal se ne è in realtà distaccato sin da subito, sebbene certe sonorità presenti in Vacant, album d’esordio, riconducessero a questo genere. Una verve progressive, interessata al versante acustico come a quello più marcatamente black “prima ondata”, che non disdegnava partiture ai limiti del death metal melodico e, all’opposto, aperture ambient che beneficiavano di innesti di elettronica mai invasiva: a grandi linee era possibile trovare tutto questo in un disco della band, ma questo We Came Here to Grieve va addirittura oltre. Con piglio sfacciato questi ragazzi rovesciano in dieci tracce il passato musicale degli Ashbringer unito a, in ordine sparso, un gusto melodico e delle aperture ai limiti dell’emo, approcci folk e acustici degni del Panopticon più ispirato, un post-black metal dolce e malinconico come era tanto che non lo sentivamo, e certe parentesi quasi grunge. Una creatività strabordante degna dei migliori Strapping Young Lad/Devin Townsend dunque, che inizialmente travolge e stravolge, e non importa se si era familiari con il gruppo: si tratta forse della svolta musicale più grossa finora fatta da Stanger & Soci. Intendiamoci, non è che negli album precedenti ci si fosse adagiati sempre sulle stesse sonorità: non è mai stato facile catalogare la musica dei Nostri, e alla fine la grande ala della mamma chioccia “atmospheric black metal” finiva per accoglierli, ma qui andiamo davvero oltre. La cosa bella, che ci ha stupito e che ci ha fatto innamorare di We Came Here to Grieve, è la sua capacità di meravigliare anche dopo diversi ascolti, di rivelare qualcosa che nella sessione precedente era magari sfuggito, di dare insomma un impulso che invoglia a premere nuovamente “play”.
I primi due singoli estratti (e prime due tracce del lavoro), “Rain” e “Pages”, già si caratterizzano per essere un po’ agli estremi dello spettro compositivo dei Nostri: dove la prima inizia più aggressiva e tumultuosa, la seconda è invece più pacata e dedita alla melodia. Ma è solo un momento prima che i ruoli si ribaltino, più e più volte. Il post-black metal si unisce alle parentesi malinconiche tanto care ai Nostri (e che avevano fatto la fortuna di Yūgen, opera prediletta dal sottoscritto), ma niente ci può preparare a “Pages”, pezzo di una sensibilità rock finora mai pienamente espressa dagli Ashbringer, un brano che profuma di fine estate, malinconico e dolce, dalle chitarre che a tratti lambiscono il midwest emo, genere questo che trova rimandi anche nell’approccio vocale di Stanger. Che, per la prima volta, si libera in un clean evocativo, alle volte così puramente imperfetto da essere commovente e solare. Il growl e lo scream restano comunque, sia chiaro, ma il cantante dimostra in questo pezzo (e poi in altri in questo disco) una versatilità, anche canora, che non aveva mai messo in luce, di fatto confermandosi come una delle migliori sorprese di questo lavoro. Più l’album va avanti, più questi ragazzi continuano a stupire. Non c’è una canzone uguale all’altra, non una volta che i vari riferimenti musicali siano miscelati nello stesso modo, e se l’ascoltatore è rimasto stregato dalle prime due composizioni difficilmente disprezzerà anche il resto. We Came Here to Grieve è un giro su delle montagne russe musicali, un disco in grado di toccare e unire una grandissima varietà di generi. Gli Ashbringer hanno dalla loro un’intelligenza ed un tatto non comune essendo stati in grado di attingere da una paletta vastissima, pescando ovunque ciò di cui avevano bisogno: il post-rock, l’emo e il folk cantautorale hanno conferito morbidezza e malinconia, il (post-) black metal, il doom e il death metal hanno invece fornito le strutture più arcigne, certi interventi di tastiera e innesti di elettronica hanno infine sfumato e allo stesso tempo fatto da collante al tutto. E il risultato è un lavoro bello, che non ci aspettavamo affatto, che sicuramente sarà in grado di dividere la platea.
Sebbene infatti dotato di un’orecchiabilità a volte impressionante (per essere un disco di black metal) We Came Here to Grieve non è oggettivamente un disco facile, anzi è uno di quegli album che, per natura dirompenti e di impatto, o si amano o si odiano sin da subito. Nel nostro caso è stato amore a primo ascolto, ma non neghiamo che si sia trattato di qualcosa di totalmente inaspettato sebbene chi scrive abbia seguito Ashbringer sin dai primi vagiti musicali. È un’opera che necessita di tanta apertura mentale, ma che parla con il cuore, e non a caso è forse quella più corale e intima dei Nostri, da un punto di vista emotivo paragonabile forse a Yūgen sebbene in questo caso lo spettro di sentimenti messo in campo sia ancor più ampio. Ne consigliamo assolutamente l’ascolto, certi che anche chi non lo apprezzerà nella sua totalità non potrà non rimanere affascinato dalla qualità della musica messa sul piatto dagli Ashbringer.
(Translation Loss Records, 2023)
1. Rain
2. Pages
3. Rift
4. Unsaid
5. Gazed
6. Permanence
7. Far
8. Here
9. There
10. We Came Here to Grieve