Non nascondo un po’ di timore reverenziale nel recensire la nuova uscita degli Austere, duo australiano che in soli due dischi, un EP e un paio di split pubblicati tra il 2007 e il 2009, era riuscito ad affermarsi come uno dei più importanti progetti di depressive black ma anche e in generale di black atmosferico. Scomparsi dalla scena proprio con l’uscita di To Lay like Old Ashes, Desolate e Sorrow si sono ripresentati lo scorso anno con il valido Corrosion of Hearts ed eccoli nuovamente dopo 13 mesi con questo Beneath the Threshold. Che, ci togliamo subito il dente, non mi ha convinto a pieno. Andiamo a vedere perché.
Il disco si compone di sei pezzi (di cui uno, il quinto, una strumentale acustica) che sembrano rappresentare due diverse ispirazioni. La prima parte è quella che mi sembra migliore e spicca subito all’orecchio una prima sorpresa, ossia l’abbandono delle asprezze tipiche dello scream depressive. Poi, non tanto una sorpresa quanto una mezza conferma, gli Austere nei primi due pezzi “Thrall” e “The Sunset of Life” sembrano riallacciarsi al mood che avevano sperimentato un anno fa e, rallentando i tempi, si avvicinano a quello che avevano proposto i Katatonia più o meno tra Brave Murder Day e Discouraged Ones, EP compresi, quando abbandonando lo strano e maestoso black-doom degli esordi si espressero in quel gothic metal molto cadenzato che risentiva di influenze dark e new wave. In questi due pezzi i Nostri sembrano discostarsi anche da un certo tipo di comporre di cui insieme ai Drudkh sono stati immensi maestri. Nei due pezzi menzionati gli Austere possono anche sfoderare dei riff portanti molto belli, lunghi, dalla struttura complessa e articolata ma che reggono bene l’edificio della singola canzone e sui quali la seconda chitarra si può lanciare in pregevoli fraseggi melodici di sicura presa. Ugualmente pregevole la scelta di usare in alcune parti la voce in clean in entrambe le canzoni, un clean quasi incerto ma che ondeggia su ottime scelte armoniche (per dare l’idea, siamo dalle parti del Carmelo Orlando di Classica). La doppia cassa della seconda metà di “The Sunset of Life” contribuisce fortemente a dare epicità e drammaticità al pezzo mostrando la grande coerenza compositiva e di arrangiamento del duo australiano. Riemergiamo con una buona dose di compiacimento dalla sorpresa e dallo straniamento nel ritrovare gli Austere in lidi non propriamente loro e ci mettiamo all’ascolto dei restanti pezzi ed è forse qui che cominciano a vacillare i buoni propositi dei Nostri. Un arpeggio accompagnato da un’ariosa chitarra à la Daniel Cavanagh apre il terzo pezzo, “Faded Ghost”, che si apre poi in un riff ad accordi aperti e voce pulita che tanto, forse troppo, richiamano gli Alcest e compagnia blackgaze/post-black anche quando la batteria va in 3/4 e la voce aumenta il carico emotivo. Un riff quasi gothic metal (di ispirazione più inglese, stavolta) dà il via a “Cold Cerecloth” che si sviluppa poi seguendo l’alternanza tra scream e clean. Anche qui, però, rimane pesante l’ombra della band di Neige e Winterhalter. “Words Unspoken” è un nemmeno tanto breve intermezzo di chitarra acustica e tastiere che serve a prendere fiato ma che tutto sommato non sembra essere più di un riempitivo. L’album si chiude quindi con “Of Severance”, forse l’episodio più pesante e grezzo del lotto. Blast beat e poi doppia cassa, ottimo screaming ma ecco di nuovo quegli accordi aperti a plettrata alternata marchio di fabbrica del blackgaze. Si fanno apprezzare la seconda chitarra con delle belle aperture, degli interessanti rallentamenti eppure il pezzo sembra quasi dilungarsi senza che si sia sviluppato interamente.
Il cambiamento, l’innovazione, il mutamento sono espressioni dell’essere che a mio avviso meritano sempre e comunque rispetto. Ecco, gli Austere sembra che abbiano un po’ stretti i panni di cui si sono vestiti fin dai loro esordi e provano in qualche modo a cambiare pelle. Riescono in questo quando provano a camminare su sentieri che di sicuro conoscono grazie alle passioni e agli ascolti di qualche anno fa, mentre non sembrano convintissimi quando provano in qualche modo a recuperare terreno su chi, insieme a loro, ha creato un sottogenere più di quindici anni fa ma ha poi ha avuto uno sviluppo molto naturale e sentito. Rimane il dubbio se magari siamo noi a non essere troppo preparati ad assecondare questo cambiamento ma l’impressione, purtroppo forte, è che gli Austere con Beneath the Threshold abbiano fatto un mezzo passo falso. Il giudizio è sì sufficiente, ma da band come queste è lecito aspettarsi molto di più.
(Lupus Lounge, 2024)
1. Thrall
2. The Sunset of Life
3. Faded Ghost
4. Cold Cerecloth
5. Words Unspoken
6. Of Severance