Il ritorno sulle scene degli australiani Austere non può che rendere felici gli amanti del black metal più incline alle sonorità malinconiche, autunnali, anche melodiche se vogliamo, che il duo ha saputo plasmare nel tempo nella forma di un depressive elegante e per niente barocco.
Riconosciuti tra i capostipiti del genere, i Nostri ci avevano lasciato nel 2009 con il bellissimo To Lay Like Old Ashes, e questo Corrosion of Hearts da una parte continua sul solco tracciato dal predecessore, dall’altra aggiorna e rinfresca delle sonorità che nel tempo sono state forse un po’ abusate. L’apertura affidata a “Sullen” è, se vogliamo, il manifesto dell'”Austere-pensiero” targato 2023: la linea di chitarra, dal fare nostalgico ed epico, è il filo conduttore di tutto il pezzo e ne costituisce la spina dorsale e il tappeto melodico sul quale si sviluppa il drumming possente di Tim Yatras e l’interpretazione vocalica di Mitchell Keepin. Proprio sulla voce i Nostri si sono divertiti a provare svariati approcci, da uno scream rauco all’urlo disperato e straziante tipico del depressive (usato in minor frequenza stavolta), passando per un clean sorprendente, carico di pathos e di emotività. Come da struttura tipica del depressive il brano non ha chissà quali evoluzioni tematiche, mantenendo come detto una linea melodica pressoché identica lungo tutta la sua durata, ma è un procedimento utile al fine ultimo della musica degli Austere, ossia far cadere l’ascoltatore in uno stato quasi di trance e di ipnosi sonora. Le tastiere sono un altro asso nella manica nella proposta musicale dei Nostri: assieme alle chitarre contribuiscono a creare un background desolato e innervato di uno spleen tipicamente autunnale. Da notare poi come anche le ritmiche non siano mai troppo aggressive, cosa che avvicina Corrosion of Hearts al black metal atmosferico (Drudkh) o al post-black metal macchiato di shoegaze nelle sue fasi più intime e sognanti (Alcest): un taglio epico insomma, quasi titanico, che ben emerge anche nella seconda traccia “A Ravenous Oblivion”, frutto probabilmente dei tanti progetti personali dei due musicisti che nel periodo di iato tra il 2009 e questo 2023 si sono sbizzarriti esplorando strade diverse.
Con un occhio rivolto verso il passato del black metal (“The Poisoned Core” ha in nuce una base malsana che ci ricorda addirittura un Burzum nelle sue parentesi più ipnotiche e rallentate) e uno verso un tentativo di rinnovamento di un genere ormai bistrattato e sviscerato in ogni sua forma, gli Austere ci regalano una gemma che solo per convenzione possiamo far rientrare nel filone del depressive, ma che in realtà lambisce, come già detto, anche altri territori comunque afferenti allo stesso genere musicale. Corrosion of Hearts è un album intenso, che commuove quasi, che sa trasportare come un vento caldo e impetuoso. Non è un disco freddo, il calore che genera è quello di un autunno mite, porta con sé l’odore delle foglie secche e delle piogge lontane: una sinestesia questa che è sempre stata l’arma vincente dei Nostri, e che in pochi hanno saputo ripetere con la stessa maestria. Ma per fortuna gli Austere sono tornati, e se riusciranno a mantenere questa verve e questo livello qualitativo ne vedremo sicuramente delle belle in futuro.
(Prophecy Productions / Lupus Lounge, 2023)
1. Sullen
2. A Ravenous Oblivion
3. The Poisoned Core
4. Pale