10 (pellicola che la maggior parte dei fruitori delle nostre pagine probabilmente non ha mai sentito nominare), oltre a essere il film che lanciò definitivamente Bo Derek come la pin-up più conosciuta degli anni Ottanta, è anche il titolo di un album che non ti aspetti, che ti scuote, ti disconnette da tutto quello che pensavi di voler fare, e che sai che alla fine amerai proprio per il suo essere riuscito a spiazzarti totalmente. I Battle Elf sono un terzetto di Detroit, Michigan, che ruota intorno alla figura di Gretchen Gonzales Davidson, chitarrista molto quotata in ambito sperimentale statunitense, che unisce il gusto per la ricerca e la sperimentazione all’improvvisazione della tradizione avanguardistica.
Quello che abbiamo tra le mani è l’album che sancisce il debutto per i Battle Elf. Un album che parte immediatamente con il botto e che accentra su di sé tutta l’attenzione. Non appena parte “Behind the Wilderness”, il pezzo che apre il primo lato, è subito caos. Il suono che esce dalle casse monopolizza il cervello e ti rende schiavo. Quella del trio statunitense è una proposta indecente che rapisce totalmente grazie ad un’audacia impensabile che si sostanzia in un avant jazz acido intriso di folle psichedelia. Detto così vuol dire tutto e niente, per cui l’invito è quello di rinviare il suicidio (come diceva Battiato) quanto meno a fine ascolto. Converrete che l’uso indiscriminato e molto poco convenzionale degli strumenti da parte dei tre indemoniati merita ogni vostra attenzione.
Cercando di restare sul concreto possiamo sentenziare di essere alle prese con un disco che nel momento in cui continua a cambiare registro nel suo incedere isterico, non può che finire per lasciarci senza fiato (o sdegnati, a seconda del livello di tolleranza del caos che abbiamo in dotazione). Un album che è un trip psichedelico a tutto tondo che cerca di scomporre la forma canzone (ma la musica tutta, verrebbe quasi da dire) con l’intento di trovare una nuova linea comunicativa, attraverso la creazione di una neo-lingua sonora. Un disco “libero” sotto tutti i punti di vista, che ci porta al delirio, se anche solo proviamo a pensare di restare aggrappati ai brani (quattro, troppi o troppo pochi a seconda di chi ascolta) che si susseguono nell’album.
(Birdman Records, 2025)
1. Behind the Wilderness
2. Hotel Jerome
3. Stops Pretty Places
4. Yasmeen