“It has been an inspired journey, but we’ve decided that Black Math Horseman is a one-record project.”. Era l’ormai lontano 2013 e con queste ferali parole un quartetto californiano annunciava via social la sua dipartita dalle scene, provocando un moto di gran dispiacere e disappunto in chi, ormai quattro anni prima, aveva consumato “quell’album” ritenendolo una degli esordi più artisticamente ragguardevoli in arrivo dal sempre fertile habitat post metal a stelle e strisce.
In quei poco meno di quaranta minuti, infatti, i solchi di Wyllt erano riusciti ad affiancare ad uno spiccato retrogusto desert le spire sinuosamente liquide del post-metal di marca Isis, riunendo il tutto sotto un cielo dagli spiccati tratti neurosisiani e accendendo i riflettori su una frontwoman apparsa subito titolare di numeri da potenziale fuoriclasse. Stiamo parlando di Sera Timms e chiunque abbia frequentato la scena rock/doom a forti tinte esoteriche la riconoscerà immediatamente nei panni della sacerdotessa impegnata a celebrare riti iniziatici con il suo timbro vocale caldo e cantilenante, come attestato con dovizia di prove e particolari nei successivi progetti che l’hanno vista protagonista, dagli Ides of Gemini ai Black Mare (per rendere l’idea, ci limitiamo qui a segnalare un singolo come “Low Crimes” sia dal punto di vista strettamente musicale che per il magnifico video che lo accompagna, a certificare il poliedrico approccio alle sette note di un’artista che non a caso era stata scelta da Aaron Turner e compagni per dirigere e produrre uno degli ultimi video ufficiali di casa Isis, “Not In Rivers, But In Drops”). A rendere ancora più articolato il quadro ci ha pensato l’ultima creatura della Timms, che sotto le insegne Lvxuri ha deciso di sperimentare traiettorie electro approdando a esiti voluttuosamente synthwave, ma nel frattempo il richiamo degli esordi si è fatto evidentemente sentire e, riunita la line up originaria, i Black Math Horseman tornano in pista con un EP omonimo che riannoda i fili del discorso là dove si erano troppo prematuramente interrotti. L’orizzonte poetico del quartetto ruota dunque anche stavolta intorno a un post-metal ad ampio spettro, capace di aggirarsi con grande disinvoltura tra momenti evocativi sorretti da un tiro quasi marziale e passaggi spigolosamente acidi, senza dimenticare gli attimi di quasi totale sospensione della tempesta, disegnando atmosfere eteree in cui pulsa uno stato di abbandono contemplativo. La buona notizia è che il trascorrere dei lustri non ha minimamente intaccato la capacità dei Nostri di innalzare cattedrali intrise di visionarietà allucinata, ma va detto che l’effetto dirompente del debut risulta forse un po’ attutito, considerata la folla di moniker che nel frattempo si è cimentata nella declinazione della stessa materia. Beninteso, l’effetto-sorpresa/originalità era solo una delle frecce nell’arco Black Math Horseman e le altre restano ancora del tutto intatte nella loro faretra, con la più che fondata prospettiva di raggiungere il centro del bersaglio. Ecco allora che la Timms sfodera l’ennesima prova impeccabile, a metà strada tra sussulti post-punk di scuola e reminiscenze Siouxsie Sioux e la solita, consolidata attitudine a vestire i panni di una ipotetica pifferaia di Hamelin impegnata ad ammaliare gli astanti trascinandoli in dimensioni parallele (qui, come sempre, i rimandi più immediati sono a Jessica Toth e a Rebecca Vernon, somme dispensatrici di pozioni magiche e lisergici assaggi), ma ecco anche intorno a lei tre compagni di viaggio altrettanto fondamentali per le sorti del platter, con l’ottimo Sasha Popovic alle pelli a presidiare il versante della potenza (e nota di merito per un approccio tribalistico in cui riecheggiano nobilissimi antenati, vedasi alla voce Enemy of the Sun, nel bouquet Neurosis) e la coppia di sei corde Ian Barry/Bryan Tulao, sempre a proprio agio sia sui tornanti allucinati, sia negli strappi dissonanti, sia nelle pause melodico/atmosferiche. Sul piano squisitamente formale, come dichiarato dalla stessa band, va detto che i quattro episodi che compongono la tracklist sono stati concepiti originariamente come un unicum, a delineare una sorta di suite solo successivamente frazionata nei suoi elementi costitutivi ma, a conti fatti, le cesure praticate non hanno effetti negativi sulla fruibilità dell’insieme, per un lavoro in cui mistero ed energia si contendono artisticamente il proscenio. Se, dunque, la title-track che apre il fuoco è una sorta di danza infernalmente cadenzata che strizza l’occhio alle rotte neurosisiane di una “A Chronology for Survival”, la successiva “Boar Domane” parte con un approccio cerimoniale/liturgico che raduna i fedeli in una navata su cui si addensano vapori sinistri, prima che occhi e anime vengano rapiti dalle spire ipnotiche dispensate dalla sacerdotessa assisa sullo scranno più alto, al centro dell’altare. Il rito sembra ripartire con movenze doom ancora più accentuate sulle prime note di “The Bough”, ma un improvviso cambio di fondale ci proietta nel passaggio più acuminato e acidamente visionario del lotto, con una resa cinematografica a metà strada tra i mondi Amenra e Cult of Luna. A questo punto, accumulato un significativo carico di tensione ed energia, ci aspetteremmo una definitiva deflagrazione o, in altrettanto credibile alternativa, un rientro ordinato in una dimensione ritualistica, ma purtroppo il quartetto spegne improvvisamente il motore affidandosi per il commiato alla traccia meno convincente della compagnia, “Cypher”, adagiata su un crinale cosmic/ambient che declina inoffensivo verso una calata del sipario su cui le luci in sala si riaccendono un po’ troppo prematuramente.
Un ritorno inatteso che conferma tutta le potenzialità di un progetto apparso già al debutto qualitativamente fuori dall’ordinario, magico e inquieto nel suo aggirarsi tra giochi di luce e coni d’ombra, abrasivo ma tutt’altro che refrattario ad abbandonarsi ad aperture melodicamente orientate, Black Math Horseman è un lavoro che certifica la classe sconfinata di una band di cui la scena post-metal/doom a tinte psichedeliche non dovrebbe più fare a meno. Aspettiamo prossime, ulteriori conferme che alla modalità-cometa sia subentrata la dimensione stella fissa. Sulle lunghe distanze di un full length, possibilmente…
(Profound Lore Records, 2022)
1. Black Math Horseman
2. Boar Domane
3. The Bough
4. Cypher