Quanto pesa una nota? Quanto spazio occupa un riff? Il nuovo album degli americani Body Void si propone di rispondere a queste domande, operando un’alchimia formidabile, riuscendo a solidificare il suono e a dare una nuova dimensione sensoriale alla musica. Certo, il trio ci ha da sempre abituati a un suono tra i più pesanti e intransigenti del panorama estremo, ma con questo Atrocity Machine il fascismo – inteso come oltranzismo cieco e sfrontato – sonoro dei Nostri raggiunge vette inimmaginabili, aprendo porte verso abissi di un’oscurità ancora tutta da esplorare.
La distinzione tra batteria, chitarra ed elettronica viene meno quando il tutto è reso in un amalgama nero e informe, impastato dalle distorsioni e scolpito dalle graffianti vocals di Willow Ryan. Il senso di “forma canzone” sparisce e forse la distinzione stessa tra i brani e la successione dei momenti che compone Atrocity Machine è da pensarsi più come una scelta obbligata e dettata dalle diverse tematiche affrontate più che una componente funzionale al disco. Tant’è che l’elettronica cruda e sgraziata che genera le urla demoniache di “Cop Show”, o il suono da fine del mondo della title-track e la linea chitarristica essenziale e assassina che cade come una mannaia sui timpani come nella opener “Human Greenhouse” sono comuni a tutti i brani del lavoro, unico e omogeneo inno di tre quarti d’ora a tutto ciò che di orrido e deludente – e ce n’è tanto – la vita ha da offrire. Come in ogni altro lavoro dei Body Void (I Live Inside A Burning House tra tutti) spicca il tema del sociale, di come l’individuo comune si pone in una società soffocante e meccanica, in cui il diverso lotta da sempre per essere accettato per ciò che è. Una macchina così opprimente e ingegnerizzata è l’Atrocity Machine che dà nome all’album, che riesce a trasporre in suono l’oppressione e il senso di svuotamento che ognuno di noi vive ogni giorno.
Assieme ai tedeschi Eremit, i Body Void si confermano patroni assoluti del doom metal estremo moderno, realizzando brani di una pesantezza e una potenza che pochi artisti sono riusciti a raggiungere (si pensi all’annichilimento totale che la doppietta conclusiva del lavoro porta con sè). Amalgamando magistralmente doom, sludge, noise ed elettronica, i tre del Vermont hanno confezionato, in questo 2023, un capolavoro del genere, mettendo efficacemente in musica sentimenti e pensieri che tante volte si ha quasi paura di nominare.
(Prosthetic Records, 2023)
1. Microwave
2. Human Greenhouse
3. Flesh Market
4. Cop Show
5. Divine Violence
6. Atrocity Machine