Chi li conosce sa che dai Bongripper non ci si può aspettare altro se non la totale distruzione sonora, il sordo annientamento che solo il doom metal al suo apice può garantire. Una delle band più pesanti che abbiano mai calcato la scena musicale, con Empty i quattro di Chicago non deludono le aspettative e propongono, a sei anni dall’ultimo Terminal, uno spettacolo di luci nere e fuochi d’artificio che inchiostrano un cielo alieno e sconosciuto, che copre un mondo in cui nessuno vorrebbe vivere. Quattro tracce per un’ora densa e incredibilmente opprimente di drone e doom, una inquietante parata di riff e bordate che rendono l’album persistente, ne fanno impregnare l’aria anche dopo che il lavoro è terminato e l’ultimo pezzo finito.
L’opera si apre con l’emersione, da un fondo di fuzz distorto, del riff portante di “Nothing”, in un incipit nel quale le parti della canzone vengono riassemblate come ossa di un essere monolitico, lentamente portate alla luce tra le sabbie di un deserto dimenticato. La struttura dell’opener è complessa e articolata, e le prime due linee di sei corde (da 04:00 a 07:00 e da 08:00 a 10:00 circa) sono di quanto più maestoso e totale Empty abbia da offrire. Una lode – come l’intero album del resto – all’annullamento dell’individuo (qui rappresentato, tramite strumento, dalla forma canzone stessa) in qualcosa di più grande, che altro non è se non un infinito e deludente nulla. Nella seconda parte di “Nothing” i Nostri sperimentano con piglio death metal come nello storico Satan Worshipping Doom, chiudendo questa prima parte del lavoro con un inquietantissimo raschiato che scandisce, come una marcia o come un pendolo inarrestabile e letale, la cacofonica sublimazione del brano. “Remains” (vale la pena far notare il doppio significato di “rimane” come verbo e “resti” come sostantivo del titolo) è il pezzo più canonico del lavoro, che più ricorda i precedenti album (il succitato Terminal o il precedente Miserable) e che più colpisce per la bruta violenza del suono, una pesantezza chirurgicamente fine a sé stessa, in un inarcare di schiene di mille giganti, infilzati come perle su una spessissima linea di basso, che marciano al ritmo tonante di piatti e batteria. Impossibile non fare headbang. Impossibile non chiedersi cosa ci stiamo qui a fare tutti noi. Con la successiva “Forever”, la narrazione – se così decidiamo di chiamare questo monumento all’annientamento totale – si rilassa, panorami simili a quelli già dipinti da Inter Arma e vecchi Pallbearer si delineano davanti a chi ascolta. La batteria si fa meno invadente, le chitarre lavorano ottimamente in coppia per arrangiare un gran pezzo di atmospheric/funeral doom, che nel finale si converte in una cataratta di fango nero che inonda e disorienta, riuscendo a stravolgere in maniera sostanziale, come in un corrotto trucco di magia, lo stesso riff che all’inizio ci aveva fatto tessere disegni tra le nuvole. Surreale. Al minuto 09:47 di “Empty”, il riff che dovete ascoltare se volete sapere cosa sono i Bongripper inizia per poi immergersi un minuto e mezzo dopo nella sezione conclusiva del disco. Raccoglie, nel suono di due chitarre, un basso e una batteria, l’urlo di divinità dimenticate da millenni attraverso caverne di ossidiana, e il frinire dei grilli che i bambini ascoltano d’estate guardando le stelle. La pressione indicibile di quanto di misterioso e inconoscibile l’Universo accoglie, coniugata col dettaglio più insignificante, ma estremamente poetico. Vanità del tutto, e sua scorata accettazione, raccolti in una manciata di note.
Memore delle leggende che circondano la creazione del capolavoro assoluto Dopesmoker (di cui, per inciso, l’esordio The Great Barrier Reefer dei Bongripper dovrebbe essere una parodia), mi chiedo ogni volta che riascolto Empty quanto di ciò che l’album mi sta dicendo – di cui ho riportato un riassunto nelle righe sopra – sia intenzionale e quanto sia il delirio compositivo di quattro stronzi fattissimi in una sala prove. Tralasciando le fantasiose costruzioni mentali di chi vi scrive, qualcosa di certo c’è. L’obiettivo assodato dei Bongripper è quello di comunicare, tramite una musica essenziale ma spietata e opprimente come nessun’altra, un profondo disagio esistenziale impossibile da sanare. Tutto ciò che rimane è il vuoto, degno di celebrazione in quanto unica cosa effettivamente tale, in un’orgia di nichilismo non solo intellettuale ma soprattutto musicale e sonoro. Perché Niente Rimane, e tutto è Vuoto Per Sempre.
(The Great Barrier Records, 2024)
1. Nothing
2. Remains
3. Forever
4. Empty