È la natura, in ogni sua forma, la grande protagonista di Gem, album di debutto per Bosco Sacro. Natura che, sin dalle prime registrazioni, quando ancora l’album doveva prendere la sua forma definitiva, e si pensava solo a creare quel feeling tra i membri del progetto, ha immediatamente recitato un ruolo preponderante grazie al suo grande impatto sui quattro musicisti. Paolo Monti (The Star Pillow, DAIMON), Giulia Parin Zecchin (Julinko), Luca Scotti (Tristan da Cunha) e Francesco Vara (Tristan da Cunha, Altaj) aiutati in sede di produzione da Lorenzo Stecconi (Amenra, Zu, Ufomammut, Lento), non hanno dovuto faticare per convincere la Avantgarde Music del valore del proprio lavoro, incentrato, oltre che su una sinergia sonora di primissima qualità in cui ognuno di loro si dedica alla riuscita globale mettendo da parte velleità singole, su di una riscoperta di noi stessi attraverso una (nuova) visione sul mondo che abbiamo (troppo frettolosamente) dimenticato. Il loro è un invito a riprendere, e riconsiderare, quel rapporto che ci lega, sia con la natura che ci circonda, che con noi stessi, con le nostre radici, per guardare al domani come a un momento in cui la natura torna ad essere un valore imprescindibile a cui rifarsi e di cui prendersi cura.
Se Gem è oggi uno degli album che più si lascia apprezzare in questo inizio 2023, lo deve senza dubbio alla comunione celebrata tra i suoi protagonisti e la natura che li ha circondati, influenzandone le emozioni, e conseguentemente le scelte. Elegantemente evocativo nel suo incedere, Gem rappresenta un ottimo esempio di ritualismo pagano che si defila dalle cupe tematiche più affini all’approccio esoterico per guardare invece ad un rinnovato connubio con madre natura e al suo lato più spirituale. L’album riesce ad essere contemporaneamente delicato ma intenso, quiete e tempesta pervase entrambe da un senso di suadente malinconia che alterna momenti di luce intensissima a rapidissime discese nelle tenebre più oscure e opprimenti. Dolorosamente romantico, e inquadrabile come la sublimazione della spiritualità che lega uomo e natura, si rivolge in prima persona proprio a quest’ultima, oggi più che mai tralasciata dall’uomo, preso da superficialità che lo hanno allontanato da una vita “comunitaria”.
In molti, leggendo quello che da più parti si scrive in proposito, si sono sbizzarriti nel cercare di individuare quelli che possono essere gli artisti a cui associare i Bosco Sacro. Si tratta di un’impresa velleitaria che rifiutiamo a priori. Non è certo paragonandoli a qualcun altro che rendiamo loro giustizia e celebriamo la bellezza di questo loro Gem. Non sono i paragoni a far capire la validità e la bellezza di un disco. È un esercizio di stile che serve più al recensore che non al gruppo, con cui, chi scrive non fa altro che autoproclamarsi “esperto” andando a cercare il più delle volte quei nomi di nicchia che servono solo a specchiarsi nel nulla. L’unico appunto che sentiamo di dover fare, giusto per non risultare troppo buoni proprio perché accecati da tanta bellezza, è quello che riguarda la copertina, apatica e a suo modo piuttosto banale, assolutamente non all’altezza di un lavoro di questo calibro. Sarebbe (forse) stato opportuno curare l’aspetto iconografico in modo da valorizzare ulteriormente un album che ha immediatamente messo solide radici nel nostro arido cuore rianimandolo e purificandolo dal brutto di cui siamo circondati. In chiusura teniamo a sottolineare come Bosco Sacro, oggi, rappresenti un’entità che trascende i generi per guardare ad uno status di estasi sonora onnicomprensiva slegata da dogmatismi sonori usuali, in grado di distaccarsi dal tempo in modo definitivo e totale.
(Avantgarde Music, 2023)
1. Ice Was Pure
2. Be Dust
3. Fountain Of Wealth
4. Emerald Blood
5. Les Arbres Rampants
6. Bosco Sacro