Il nuovo lavoro di Breaths, al secolo Jason Roberts, spaventa. Il titolo anzitutto, Though life has turned out nothing like I imagined, it is far better than I could have dreamt., chilometrico e che lancia subito un’ombra di disperazione e di tristezza sul disco che ci apprestiamo a recensire. Le note nel presskit poi, nelle quali si legge che l’album “combines elements of post-metal, black metal, doom metal, shoegaze, post-rock, progressive metal and post-hardcore into something unique and cohesive”: troppa carne al fuoco verrebbe da pensare, un coacervo di generi che produrrà chissà quale mostro sonoro, e invece siamo di fronte a un disco che spaventa sì, ma in senso assolutamente positivo.
Breaths ha riversato in sei tracce un mare di disperazione, sentimenti, emozioni, plasmando in maniera eccellente una materia musicale effettivamente variegata: traccia dopo traccia, secondo dopo secondo, si affacciano alla nostra mente King Apathy, A Hope For Home, The Elijah, il post-black liquido di Alcest e Clouds Collide, le stratificazioni sonore e il gelo degli Holy Fawn e di Jesu, lo shoegaze dei tempi migliori, il tutto tenuto insieme da un notevole senso della melodia. Though life… è un viaggio appassionante nella mente di Breaths, una continua discesa verso paure e angosce che corrisponde però ad una catartica ascesa verso la presa di coscienza che, alla fine, la vita poteva essere ben peggiore nonostante non sia quella che ci siamo immaginati. Musicalmente, lo avrete capito, è estremamente difficile fornire una descrizione di come può suonare questo disco: il Nostro consiglio è quello di prendervi del tempo e di dedicarvi all’ascolto con pazienza, dedizione, anima e corpo, possibilmente leggendovi i testi messi in musica da Roberts: solo così riuscirete ad entrare pienamente nel suo mondo, e a capire quanta tristezza è stata messa da lui in musica. Testi che parlano di perdita, abbandono, ma anche speranza nel futuro e orgoglio delle proprie radici. Da un punto di vista vocale Breaths fa uso sia di un espressivo e limpido cantato in pulito sia di un lancinante scream: l’effetto che ne scaturisce è quello di una giornata nebbiosa, nella quale nel giro di pochi istanti si possono avere sia timidi raggi di sole che cercano di bucare la cortina sia gelide folate di vento che ti entra nelle ossa e ti fa rabbrividire.
La durata dell’album è assolutamente in linea con il carico emotivo che porta con sé: in poco più di mezz’ora Jason Roberts riesce ad arrivare al punto, senza necessità di dilungarsi ulteriormente, senza passi falsi, regalandoci un lavoro snello nel modo in cui si lascia godere ma allo stesso tempo profondo e meritevole di più livelli di ascolto per carpirne appieno ogni singola sfumatura. Una vera e propria sorpresa insomma, un disco perfetto per inverni rigidi e gelide mattinate.
(Trepanation Recordings, 2022)
1. The Elders
2. The Patriarch
3. The Tormented
4. The Empty
5. The Matriarch
6. The Wayward