Sono moltissime le realtà sottostimate. Tra le tante i Brume sono da considerare tra coloro che più di altri hanno finora sofferto di questa minore visibilità rispetto a quelle che sono le qualità e le potenzialità. Li avevo persi di vista dopo il debutto del 2015 Donkey che mi aveva, al tempo, coinvolto e portato a pensare, per loro, a una carriera di primo piano. Li ritrovo oggi, a quasi un decennio di distanza, esattamente dove pensavo potessero arrivare: immersi cioè in un percorso di crescita che mostra, sin da subito, dopo pochissimi istanti dalla partenza dell’album, tutte le potenzialità di una band che ha fatto esattamente quello che doveva in questi anni, per scalare le gerarchie sonore di un genere che troppo spesso si accartoccia su se stesso, riproponendo schemi ormai tanto collaudati quanto asfittici.
Nel frattempo il trio si è allargato a quartetto, grazie all’ingresso della violoncellista Jackie Perez Gratz, che riesce a dare quel tocco di estro e qualità alle composizioni della band anglo-californiana. Il loro è un sound che, pur restando ancorato ad un approccio oscuro e gotico, mostra inflessioni di apertura verso dinamiche meno pesanti e più armoniche. In modo da rendere il tutto ancor più speciale, per l’occasione si è unita – solo nelle sessioni di registrazione – anche Laurie Shanaman, cantante dei Ludicra.
Marten è un album che riesce a rendere quasi tangibili, e quindi facilmente individuabili, le diverse provenienze dei tre, nati rispettivamente a Bristol, UK (Jamie McCathie), Baton Rouge, Louisiana (Susie McMullan) e San Francisco, California (Jordan Perkins-Lewis). Il loro doom di stampo britannico degli inizi, nel corso degli anni, ha visto scemare la sua predominanza nelle composizioni della band, fino ad arrivare alla formula odierna, a mio avviso credibile e vincente, che abbraccia una gamma di suoni maggiore rispetto al passato, pur senza perdere però di vista l’impatto generale che li ha sempre caratterizzati come band. L’album ha la sua carta vincente nel riuscire ad essere decisamente più malinconico rispetto ai suoi predecessori, ma anche e soprattutto più elegante e sofisticato nel suo lavoro di ricerca. Un album che, siamo certi, possa essere individuato come un grande passo in avanti, che li spinge oltre quelle che potevano fino a ieri essere considerate le coordinate all’interno di cui potevano sentirsi sicuri di muoversi. Sarà il tempo a dirci se questo loro tentativo avrà avuto senso e sarà risultato vincente. Per come la vedo io, scelta migliore non avrebbero potuto fare.
(Magnetic Eye Records, 2024)
1. Jimmy
2. New Sadder You
3. Faux Savior
4. Otto’s Song
5. How Rude
6. Heed Me
7. Run Your Mouth
8. The Yearn