Buñuel è un concetto ancor prima che un progetto musicale. E, forse mai come prima, l’idea di “progetto” si adatta nel momento in cui cerchiamo di capire che cosa abbiamo tra le mani, che cosa ci sta distruggendo i pensieri, allontanando tutto quello che abbiamo intorno. Poggiamo la puntina tra i solchi del disco e, davvero, diventa più che mai difficile capire che cosa sta risuonando nella stanza, devastando il silenzio, che, con tutto il suo insopportabile rumore, stava dando forma concreta ai nostri deliri più alienanti. Il disco parte e iniziamo a cercare un filo logico a quello che sta accadendo. Ma qui la logica – per come l’abbiamo intesa finora – non esiste. Siamo su un altro piano narrativo. E quello che in apparenza è soltanto un disco che gira sul piatto, in realtà è la colonna sonora di uno snuff movie che non abbiamo scelto di guardare, ma che stanno proiettando dietro alle nostre retine. O, in alternativa, provando a esorcizzarlo, lo pensiamo come il manifesto di una nuova corrente sonora che, partendo proprio dalla violenza, prende vita attraverso la morte, realizzando di fatto un perfetto album di “snuff music”.
Se “Mansuetude” è – forse – tutto questo, Buñuel è qualcosa di diverso. È altro e altrove, nello stesso istante. Nel momento in cui pensiamo di averli capiti, i Buñuel svoltano, prendono un’altra strada, lasciandoci lì. Da soli. A riflettere sul fatto che non avevamo capito nulla, che quello che credevamo chiaro era l’oscurità in cui ci avevano trascinato. Al netto di tutto questo siamo senza dubbio alle prese con un disco che sanguina, copiosamente. Un disco che butta sale sulle nostre ferite, acido e claustrofobico come pochi altri. Un disco che ridefinisce i confini del dolore e della mente, che si chiude con un episodio inatteso che – solo apparentemente – riconcilia con la quiete, e che lascia intravedere un possibile futuro alternativo, ancora una volta in controtendenza rispetto a quanto fatto finora. Buñuel è quindi, realmente avanguardia. Surrealismo sonoro che supera l’idea di dover per forza credere in un movimento – falsamente, o meglio stancamente, staticamente – sovversivo e dissacratore, auto-estintosi per mancanza di stimoli a indagarsi ulteriormente. Buñuel supera questo ostacolo – mentale – sondando il profondo, per andare a scoprire la realtà che si cela oltre gli schemi preconfezionati – e, proprio per questo, come detto sopra – ormai sterili.
“Mansuetude” è un album che fa rumore pur non essendo un album eccessivamente rumoroso. È un noir crudele che racconta la realtà in una corsa che tocca tutti quei nervi scoperti che ci lacerano, soffocandoci il respiro in gola. Un disco che ci porta alla deriva, in modo inquietante, istintivo. Perché, alla fine di tutto – e del tutto – la vera “mansuetudine” è quella che pervade l’aria, a disco finito, mentre la puntina ritorna al suo posto. Un album difficile, ma solo per tutti quelli che non sono disposti ad uscire dalla propria comfort zone, non indicato per tutti i conservatori che si compiacciono autoeroticamente nell’ascolto compulsivo del solito refrain musicale, in cui cambiano solo le copertine e i titoli, ma è sempre il solito album a suonare sul piatto. Noi amiamo dischi inquietantemente azzardati, che mettono in difficoltà, ma che proprio per questo affascinano. E “Mansuetude” è uno di questi.
(Overdrive, SKiN GRAFT, 2024)
1.Who Missed Me
2.Drug Burn 03:34
3.Class 04:05
4.Movement No. 201
5.Bleat (with Jacob Bannon of CONVERGE)
6.A Killing On The Beach
7.Leather Bar
8.High. Speed. Chase.
9.American Steel (with Duane Denison of The JESUS LIZARD)
10.Fixer (with Megan Osztrosits of COUCH SLUT)
11.Trash
12.Pimp
13.A Room In Berlin