Burndy (alla lettera un qualcosa dal bordo bruciacchiato) è un trio femminile di Chicago (composto da Jessie Ambriz al basso, Sally Sachs al fagotto e Megan Emish all’ukulele elettrico e alla voce) che arriva finalmente al debutto discografico. Le tre hanno saputo conquistare la nostra attenzione per il loro saper essere distanti da tutto quello che la musica cerca di proporci oggi, in una visione indotta quanto mai inoffensiva, che possa permetterci di restare confinati nella nostra comfort zone. Ma le tre sono soprattutto una realtà che fa della sperimentazione il proprio mantra, e che lascia da parte la pulizia sonora per guardare alla resa più che all’estetica. In una definizione tanto veloce quanto incompleta, ma sicuramente significativa, “una band con il fagotto, ma senza batteria, che suona industrialeggiante.” Il loro album (omonimo e autoprodotto) è inquadrabile nel novero di quelli che non riesci a focalizzare, e che non capisci dove vogliano portarti. Poi, durante l’ascolto, ti rendi conto che non è il caso di continuare a porti delle domande, e ti lasci andare, limitandoti a godere di ciò che stai ascoltando. È allora che ti senti pienamente al centro del loro mondo, e realizzi come non serva a nulla cercare di definire e catalogare ogni cosa che incontri sul tuo percorso.
Le burndy con il loro album di debutto ci indicano una strada ben definita. Starà a noi capire se sia il caso o meno di seguirle in questa direzione. Se sono davvero loro tre quello di cui abbiamo bisogno oggi. Il loro è un disco che sentiamo di voler fare nostro, e che ci piace per il suo saper essere dissonante, ma sostanzialmente sempre a fuoco, anche laddove ci appare come straniante. Un album che racchiude tutte le influenze con cui il trio è cresciuto, tutti gli ascolti con cui hanno pianto o gioito. Un album che, quindi, cerca di restituire tutte quelle emozioni che ha saputo cogliere negli anni.
Burndy è un disco che per alcuni sarà inquadrabile come post-punk, per altri come noise rock, ma che per noi alieni alle chiusure mentali imposte dalle classificazioni, è sublime nel suo saper essere al tempo stesso tutto e nulla, a seconda di come lo intende guardare. E che conserva quel tocco di imprevedibilità che riesce a metterci in difficoltà nel momento in cui ci priva di quei riferimenti che pensavamo di avere individuato. Un disco abrasivo che non urla ma arriva a bersaglio con durezza e fastidio.
(Autoproduzione, 2025)
1. a.g.c.a.t.
2. come in
3. burn
4. breathe
5. surface
6. cinders
7. mask
8. static
9. refuse