I padovani Cioran, sin dal monicker che chiama in causa l’omonimo filosofo rumeno, evocano l’ingombrante fardello della tragicità dell’esistenza. Il nuovo Bestiale Battito Divino, uscito, a distanza di tre anni dall’EP omonimo, in cassetta per l’americana Caligari Records, fa un passo a latere rispetto all’ondata nichilista che ha permeato negli ultimi tempi tanta musica e che è diventata un’etichetta da appiccicare con molta faciloneria a destra e manca. Nessuno spazio per momenti di luce, questo è chiaro, ma il loro concept vira più su un dualismo di ascendenza gnostica esibito da lyrics ermetiche. Si parla del paradosso della coesistenza del bestiale e del divino, del loro equilibrio all’interno di un organismo, cioè dell’uomo tout court.
I Cioran fanno tutto ciò attraverso un blackened hardcore personale. Rispetto ai lavori precedenti la produzione è nettamente migliorata, mentre hardcore e post-hardcore vedono rubarsi la scena da venti minuti e passa di cattivissimo black metal, arrugginito, implacabile. Anche se, in realtà, ad un ascolto più attento, l’hardcore continua ad esserci, mimetizzato benissimo, incastonato e organico alle loro soluzioni black. Così ad esempio nell’opener “Sogno organico 90”, in qualche stacco più riposato, negli inserti di distorte spoken words, oppure ancora nell’attacco di “Silicio”, che è evidentemente più votato al post hardcore. L’impressione è che i Cioran di oggi siano una band molto più cupa e furiosa che freme e non vede l’ora, quando i ritmi rallentano, di scatenarsi rituffandosi nei loro neri abissi; la qual cosa si sposa con la scelta di dar più spazio alla propria componente black, tanto che altre volte ancora si allontanano nettamente dalle matrici blackened hardcore – non credo di sbagliarmi di molto se penso come termine di paragone ai Plebeian Grandstand – per abbracciare totalmente blast beat, ventate di ghiaccio irrespirabile percorse da vene pulsanti di tremolo e un’estetica interamente black, tanto che in “Tuono” una certa marzialità austera e la sezione ritmica possono persino chiamare alla mente gli ultimi Marduk.
La qualità si mantiene costante per tutto il lavoro. Forse meno in your face le due tracce conclusive, che sono anche le più lunghe: parliamo di “Latrato”, che però nella parte centrale diventa un mattoncino niente male, e “Petricor”. C’è ancora qualcosa da affinare, specie in sede di mero songwriting, e la sintassi un po’ farraginosa va limata e smussata con più cura. Per il resto, non c’è di che lamentarsi.
(Caligari Records, 2017)
1.Sogno organico 90
2.D’un senso fortezza
3.Tuono
4.Silicio
5.Latrato
6.Petricor