I Cloakroom sono un trio dell’Indiana autori, con il presente Dissolution Wave, del quarto album in studio in dieci anni di carriera. Un periodo questo nel quale la band ha potuto cesellare al meglio il proprio suono, che come vedremo risulta composito, variegato e accattivante. Nelle otto tracce che compongono questo lavoro sentirete echi del lato più melodico dell’emo a stelle strisce, del post-rock slintiano, della malinconia dello slowcore, dell’indugiare autunnale di un certo alternative rock britannico degli anni Novanta e del grunge più da classifica, il tutto tenuto insieme saldamente dal collante dello shoegaze e in parte dello stoner rock. Un bel minestrone, eppure i Nostri riescono a tenere salde le briglie della loro creatura portando a casa un disco convincente e che si lascia apprezzare sempre di più, ascolto dopo ascolto.
“Lost Meaning” in apertura fa piombare l’ascoltatore direttamente negli anni Novanta: un cantato melodico, lontano e accattivante quello di Doyle Martin, che culla l’ascoltatore portandolo per mano attraverso le strutture fuzzose, dense ma incredibilmente orecchiabili che costituiscono il pezzo, la cui colonna portante (qui come del resto negli altri) sono sicuramente le chitarre, che ergono muri sonori alti e spessi ma dalla consistenza fragile e brumosa. Più atmosferica e dilatata la title-track, che mette in risalto le capacità della band di saper costruire atmosfere senza necessariamente ricorrere alla potenza delle distorsioni, con un’andatura lenta e sinuosa che introduce il primo singolo estratto, “A Force At Play”. Si tratta di una canzone molto lontana dagli stilemi dello shoegaze, alternative rock nella sua anima, un brano che se lo avessero proposto le radio tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila non si sarebbe scandalizzato nessuno, rientrando perfettamente nei canoni musicali del periodo. Calma, mattiniera, rassicurante, indugia su un tranquillo riff di chitarra che esplode in un ritornello più robusto senza dubbio, ma dal taglio assolutamente orecchiabile. Dissolution Wave prosegue così, alternando momenti più ariosi e melodici ad altri (la minoranza a dire il vero) più spigolosi e corposi, caratterizzandosi sempre per il suo piglio malinconico ma vagamente consolatorio, freddo ma solare, apparentemente lontano salvo poi essere in grado di toccare alcune corde profonde.
Un plauso ai Cloakroom per essere stati in grado di sintetizzare così bene i vari ingredienti che compongono il loro suono, e alla Relapse Records che ha confermato di voler investire sulla band, senza dubbio lontana dagli stilemi “metal” alla quale questa etichetta può far pensare (erroneamente, vista l’eterogeneità del suo catalogo).
Un’ultima nota: il disco sarebbe incentrato su un concept, una storia, nella quale una dissolution wave, un evento astronomico, spazza via tutta l’arte esistente e il pensiero astratto dell’umanità, e l’unica salvezza per riportare il tutto al suo status quo risiede nelle mani degli artisti: uno di questi, un minatore di asteroidi, è il protagonista della vicenda, e i vari pezzi sono cantati e raccontati dal suo punto di vista. Siamo sinceri, la prima volta che abbiamo ascoltato Dissolution Wave non ci siamo premurati di far caso alle connessioni tra concept e musica, e va bene così: alla fine non ci è sembrato così rilevante ai fini della fruizione del lavoro, ma di sicuro costituisce un “in più” che può permettere all’ascoltatore di entrare ancora più a fondo nell’universo imbastito dai Cloakroom.
(Relapse Rocords, 2022)
1. Lost Meaning
2. Dissolution Wave
3. A Force At Play
4. Dottie back Thrush
5. Fear of Being Fixed
6. Lambspring
7. Doubts
8. Dissembler