Giunti alla ribalta con l’album di esordio, Out of Your Ego, che gli fece guadagnare attenzione internazionale – si veda il tour statunitense di supporto al disco o la partecipazione a due delle seguitissime compilation di cover promosse da The Blog that Celebrates Itself – i catanesi Clustersun tornano a tre anni di distanza con il nuovo Surfacing to Breathe, uscito, come già l’esordio, per la Seahorse Recordings. È un album che li caratterizza come una realtà unica, dal tocco estremamente personale e da uno stile riconoscibile al volo, sia che i loro pezzi siano legati alla tradizione sia quando provano a svecchiarla.
Ne viene fuori uno shoegaze ripulito, nitido, anche laddove dovrebbe essere sporco e oscuro, che aggiorna le istanze dei Novanta e, à la page, sa strizzare l’occhio alle nuove realtà newgaze specie per la dinamicità ritmica e l’uso dei synth. Ma riesce a trattare bene anche materie più tradizionali raggiungendo in questi casi i picchi qualitativi più alti. “Lonely Moon” ad esempio è un pezzo più marcatamente shoegaze, onirico e delicato, distorto ma con delle melodie sicure e precise. Ma anche la conclusiva “Event Horizon” è un pezzo classico in odore di fine Ottanta, elegante e malinconica, forse il brano maggiormente sentito in quanto a carica emotiva. Fil rouge del lavoro è una tonalità cupa, lo si nota già dall’artwork, laddove lo shoegaze come genere si dà anche come candide nenie, che screzia la voce tenue e distorta e che fa necessariamente ricorso a un portato dark wave e post-punk. È così nell’opener “Raw Nerve”, da cui è stato estratto un video, curatissima nei particolari e che presenta una classica nebulosa shoegaze ad avvolgere i chorus che si espande poi in una tempesta elettrica space / psych. Ma anche nella successiva “Antagonize Me”, questa più marcata in senso post-punk, dalla schiena dritta e con un buon lavoro di chitarra che, come altrove, riesce immancabilmente a guadagnarsi i suoi spazi entro le complesse trame di suoni dei Clustersun. Tra i momenti migliori c’è da annoverare una titletrack sognante, sempre sospesa e in bilico mentre è trascurabile la traccia strumentale (“Don’t Let the Weight of your Soul Drag You Down”) che non aggiunge nulla all’album e di più difficile ascolto “The Whirling Dervish”. Quest’ultimo è il brano più lungo del lotto, entra lentamente, sembra sempre sul punto di sprofondare e annegare ma non ci ha convinti del tutto specie, ed è curioso, anche per la voce, che si concede particolari incursioni al “naturale”.
Surfacing to Breathe è un lavoro che ha tutte le carte in regola per gareggiare a testa alta nei territori internazionali. Sa essere classico ma è anche un laboratorio originale di sperimentazione. Forse ha giusto qualche pecca, o forse semplicemente non può rispondere a tutti i gusti, ma incide poco nell’organizzazione complessiva dell’album.
(Seahorse Recordings, 2017)
1.Raw Nerve
2.Antagonize Me
3.Lonely Moon
4.The Whirling Dervish
5.Don’t Let the Weight of Your Soul Drag You Down
6.Surfacing to Breathe
7.Emotional Painkiller
8.Event Horizon