Per comprendere appieno l’operato dei pazzoidi Cosmo Jones Beat Machine bisogna fare un piccolo viaggio nel tempo e tornare nella seconda metà degli anni ’60. In quell’epoca vennero fuori moltissimi musicisti che contribuirono a creare la musica che ora tutti conoscono, tra cui due folli musicisti come Frank Zappa e Don Van Vliet alias Captain Beefheart, che si impegnarono appieno a demolire la tipica “forma-canzone” per creare delle sonorità totalmente libere, destrutturando generi come il jazz, il blues ed anche il pop e creando una scena avanguardistica che sarebbe proseguita negli anni con degni eredi come Pere Ubu o i più moderni Devo, tanto per portare due esempi. Questo sesto disco, chiamato Skeleton Elevator, continua la strada incominciata dal quartetto finlandese a base di ironia e schegge musicali libere da ogni vincolo, un po’ come fecero anche i nostrani Elio e le Storie Tese.
Il combo nordico ritorna quindi con un disco nuovamente “bastardo”, pescando a piene mani dal passato per poi smembrare ogni influenza sempre con quella vena frizzante che li contraddistingue, senza mai prendersi sul serio. Le tappe sono molte e ricchissime di citazioni, quasi ci si trovasse a guardare Ready Player One di Steven Spielberg. Già dai titoli si capisce che il programma sarà ai limiti della schizofrenia. Si parte a ruota con la doppietta “St Elvis In Disgraceland” e “Transformed” dove la band mescola il funk psichedelico dei meravigliosi Funkadelic con bordate blues rugginose e vocalizzi ai limiti della parodia (splendidi i cori soul). Si vira poi verso il southern rock deviato di “Fukushima Papa”, il boogie festaiolo di “Backend Boogie” o vestendo i panni di un Tom Waits ancora più alcolizzato con “Mandrake”. E non è tutto, in quanto i malefici folletti del nord hanno in serbo numerose cartucce, facendo in modo di nascondere il tasso tecnico per far sì che siano le loro idee malate (nel senso più buono del termine) a parlare. “Mad Trumpeter” è un vero e proprio assalto rock/blues dalle tinte garage psichedeliche che può ricordare lo scalcinato Reverend Beat Man sparando addosso all’ascoltatore un groove trascinante. C’è poi una fantastica tripletta anni ‘50 che merita considerazione, ovvero “Hambone Louie” che pare un twist alla Happy Days messo in acido, “Magnetic Pole Reversal” che invece è puro rock’n’roll incrociato con il garage rock anni ‘60 con una chitarra che renderebbe felice il buon Chuck Berry, ed infine l’indiavolato surf rock di “Popeye Perry” con una batteria iper movimentata. Per finire bisognava massacrare pure i The Rolling Stones drogandoli senza pietà con “Minimal Brain Dysfunction Generation”. Per quanto siano presenti numerosi rimandi al passato, il gruppo riesce a passarci sopra e a far divertire a suon di musica sgangherata ed una voce volutamente sopra le righe.
I Cosmo Jones Beat Machine sono una delle poche mosche bianche rimaste in circolazione che suonano un tipo di musica rimasta incompresa per quasi quarant’anni (ma probabilmente lo è tutt’ora) rendendola però attuale e più fruibile. Buon divertimento!
(Svart Records, 2021)
1. St. Elvis in Disgraceland
2. Transformed
3. Mad Trumpeter
4. Fukushima Papa
5. Magnetic Pole Reversal
6. Popeye Perry
7. Dr. Butt’s Dispensary
8. Minimal Brain Dysfunction Generation
9. Backend Boogie
10. Hambone Louie
11. Mandrake