Rimanere graniticamente abbarbicati a stilemi consolidati e insistere sulla rotta tracciata oppure sperimentare a ogni pubblicazione, cambiare le carte pentagrammaticamente in tavola, non dare punti di riferimento e certezze a chi aveva applaudito le scelte artistiche precedentemente apparecchiate? Premesso che, ovviamente, se sorrette dal dovuto carico di ispirazione e fermezza in sede di scrittura, entrambe le scelte sono potenzialmente foriere di grandi esiti e prospettive, i Cursed Cemetery non hanno mai avuto dubbi, iscrivendosi entusiasticamente alla seconda categoria e continuando a coltivare l’imprevedibilità come tratto distintivo dei propri lavori.
Unico punto fermo di una line-up ad alto tasso di volatilità e instabilità, il deus ex machina Emi “Fulmineos” Matlak è seduto sulla tolda del vascello rumeno ormai da quasi un quarto di secolo, anche se il debutto sulle distanze di un full length si è materializzato solo nel 2008 sulle onde death/black del dissonante Dead Souls Madness. Va detto peraltro che, per chi non lo conoscesse, stiamo parlando di uno dei protagonisti assoluti dell’intero metal movimento del Paese carpato-danubiano, componente di moniker che hanno dato lustro alla scena black con tassi variabili di “eresia” rispetto ai canoni tradizionali del genere (per brevità, ci limitiamo qui a ricordare gli Ordinul Negru e, soprattutto, i Katharos XIII, freschi di un lavoro come Chthonian Transmissions a cui rimandiamo per gli ottimi riflessi doom e dark jazz, senza dimenticare il sia pur rapido transito sotto le insegne Negură Bunget). Non stupisce quindi che i tempi di elaborazione possano essere mediamente più che sostenuti e infatti questo A Forgotten Epitaph giunge a ben otto anni di distanza da quel Chambers of Exile che aveva segnato un mutamento radicale nel codice genetico della band, imbarcando elementi atmospheric e ambient valorizzati dall’ottima prova al microfono di una vocalist eterea e diafana come Alteea. A dispetto del detto popolare “squadra (e stile di gioco, aggiungeremmo noi) che vince non si cambia”, però, Fulmineos ha scelto di rinnovare completamente schemi e formazione, arruolando, oltre al misterioso bassista M II, un altro titano del panorama musicale rumeno: dietro al nickname Khrudd, infatti, si nasconde la monumentale figura di Daniel Neagoe, protagonista di epopee gloriose del calibro di Clouds e Eye of Solitude a cui sommare, tra le altre, almeno la fugace apparizione nel roster Pantheist. Il risultato dell’incontro è una coraggiosa sfida alle barriere tra generi, con il canovaccio black non del tutto accantonato ma in ulteriore, consistente arretramento rispetto alle prove del passato, mentre la componente ambient già decisiva nel predecessore viene declinata in una chiave decisamente più claustrofobica che contemplativa, disegnando paesaggi iniettati di vapori malsani in cui trionfa un senso di inquietudine e smarrimento. Su una simile base i Cursed Cemetery fanno poi scorrere onde drone dal respiro space/cosmic, preparando il terreno per il vero colpo di teatro del platter, incarnato da un gusto post-metal che finisce per dare il colore complessivo a un “tutto” a questo punto fortemente sbilanciato su prospettive visionariamente acide. Sono indubbiamente molti i riferimenti possibili e i richiami in filigrana, ma forse vale la pena puntare direttamente in Belgio, là dove regnano gli Amenra e i componenti del cenacolo Church of Ra, maestri di incubi e allucinazioni dall’elevata resa cinematografica. Aiuta certo, in questo senso, l’alternarsi di momenti di sospensione del ritmo e passaggi cadenzati che, pur senza varcare la soglia della pachidermicità, trasmettono una forte sensazione di pesantezza di chiara impronta doom, ma risulta ancora più decisiva la funzione di un cantato in scream teatralmente spigoloso intorno a cui, oltretutto, germogliano tappeti di grida soffocate in arrivo da qualche girone infernale dove si consumano sofferenze indicibili ed eterne, seguendo anche in questo (e senza piaggeria alcuna) la lezione di sua maestà Colin H. van Eeckhout. Tre sole, chilometriche tracce per quasi un’ora di ascolto complessivo, salta subito all’occhio e all’orecchio che la fruibilità immediata non è la dote principale di A Forgotten Epitaph, che, al contrario, richiede tassativamente immersioni totali in cui ci sia modo di far saltare i vincoli di spazio e tempo per lasciarsi trasportare in universi paralleli governati da combinazioni completamente diverse di materia ed energia. Le difficoltà della traversata sono abbondantemente chiarite già dall’opener “Daimon”, che per i primi cinque minuti lascia campo libero a un inanimato sciabordio drone prima che, in sottofondo, emergano i primi segnali di angoscia e dolore in arrivo da corpi (o anime?) tormentati. Un’improvvisa e urticante sfuriata black (la più convinta e prolungata dell’intero lotto) sembra voler indicare la rotta del platter, ma improvvisamente doom e post si prendono il proscenio spostando il baricentro verso un orizzonte quasi liturgico, prima che l’ambient/drone torni dominatore assoluto di un finale tutto gestito in sottrazione di “cose” e dilatazione di tempi. Al confronto, l’avvio della successiva title-track sfodera un piglio cerimoniale, alimentando a lungo un’atmosfera iniziatica per quanto attraversata dai lampi sinistri di un cantato che promette approdi tutt’altro che consolatori (e nel mezzo c’è posto per un assolo sontuoso e una buona parentesi melodica), ma anche in questo caso la conclusione è affidata al gelo siderale. Siamo pronti, a questo punto, per affrontare la traccia-monstre della compagnia, “Burned Anchor”, venticinque minuti sull’ottovolante del ritmo, tra accelerazioni, strutture imponenti prima edificate e poi polverizzate, vuoti improvvisi, trionfi dell’effettistica e un interminabile finale che riduce tutto a un’eco sempre più flebile e in dissolvenza, probabile, ultimo segno di vita prima che il Tempo faccia calare il sipario sulla nostra esperienza.
Collaborazione tra stelle di prima grandezza che si avventurano su nuovi percorsi con piena consapevolezza dei propri, sconfinati mezzi, passo avanti qualitativamente significativo per un moniker costantemente alla ricerca di nuovi approdi e suggestioni, A Forgotten Epitaph supera a pieni voti la prova-ritorno, proiettando in sala un kolossal che inchioda all’ascolto e alla visione. Conoscendo il regista, probabilmente sarà già alla ricerca di una nuova trama per il futuro dei Cursed Cemetery, ma, se fosse possibile formulare un auspicio, noi insisteremmo su queste coordinate, per un possibile sequel.
(Dusktone, 2022)
1. Daimon
2. A Forgotten Epitaph
3. Burned Anchor