Non sono mai stato un grande appassionato di religioni orientali, ma devo ammettere che l’idea di dei finlandesi coi nomi pieni di “ä” che compongono e registrano canzoni di un quarto d’ora su Buddha, Tantra e compagnia bella mi ha sempre divertito. Sono un po’ come quelle band che si trovano dalle mie parti, in terra di polentoni, che si fanno crescere i capelli e fanno i vikinghi del freddo nord alle feste della birra. Non che questo sia un discrimine per la musica in sé per sé, sia chiaro. Da quando li conosco, ho sempre trovato la proposta dei Dark Buddha Rising (i finlandesi di qui sopra, per chi non li conoscesse) piuttosto interessante e, per quanto sia possibile in ambito doom/drone, anche piuttosto godibile. In realtà, però, ascoltando questo Mathreyata (l’avessero chiamato in finlandese forse sarebbe stato più pronunciabile), mi sono reso conto di quanto band di questo tipo, che professano un credo musicale tipo post-psych-drone-post-doom-post-eccetera stiano intasando il panorama underground sperimentale, rischiando di soffocare con i loro album-fiume quanto di ben più interessante la scena potrebbe offrire.
Come ho già accennato, Mathreyata (copiato qui con Ctrl+C, Ctrl+V) non è un brutto album, ma contestualizzato diventa uno delle decine di album lenti e a tratti quasi noiosi che – mea culpa – occupano la playlist di un doomer (termine orribile ma significativo) come me. La prima e l’ultima traccia sono la stessa canzone suonata in due modi diversi: due riff, uno più coinvolgente e groovy, l’altro più riflessivo e ipnotico, le voci pulite da rituale e un cantato black piuttosto standard ma ben eseguito. “Nagathma” (il secondo brano) è il miglior motivo che possiate trovare per ascoltare l’album, forse perché è la canzone del lotto che più ricordi gli Oranssi Pazuzu, amici e compatrioti dei Buddha oscuri e con cui i nostri hanno condiviso una performance collaborativa a nome Waste Of Space Orchestra, prima al Roadburn e poi in studio per la produzione dell’interessante Syntheosis (2019). Chiude l’analisi dell’album la deludente “Uni”, che sembra uno scarto di un intermezzo di un collab dei SunnO))).
Mentre gli Oranssi Pazuzu davano alle stampe il semi-capolavoro Mestarin Kynsi, i Dark Buddha Rising si dedicavano alla realizzazione di quello che non entrerà né nella classifica dei migliori nei in quella dei peggiori album del 2020: un lavoro mediocre (soprattutto stando agli standard dell’ottima Svart Records) e privo di quell’audacia e di quella epicità che ogni vero album sperimentale dovrebbe avere, seguito di una carriera che vede la realizzazione, dal 2007, di altri cinque prodotti non brutti – lo ripeto per l’ennesima volta – e neppure non interessanti ma perfettamente sovrapponibili tra di loro come dei biscotti fatti con la formina. Se tutte le band post-experimental-qualcosa che ascolto dicessero la verità definendo la propria musica “introspettiva”, “cosmica” e “ipnotica” non sarei più qui sulla Terra ma vivrei su Marte da almeno un paio di anni.
(Svart Records, 2020)
1. Sunyaga
2. Nagathma
3. Uni
4. Mahathgata III