David Eugene Edwards è un personaggio enigmatico, spesso in ombra, ma assolutamente interessante e indiscusso termine di paragone e di riferimento, con i suoi 16 Horsepower prima e Wovenhand poi, quando si parla dell’Americana più oscura. Hyacinth è il suo primo lavoro da solista, un album nel quale il Nostro riversa tutto il suo cuore e la sua anima usando un linguaggio a lui ormai familiare: un country venato di misticismo, di oscurità, con stratificazioni elettroniche a contorno di una voce ispiratissima. C’è qualcosa anche di post-punk, soprattutto in certe pulsazioni simil-analogiche che aleggiano un po’ ovunque negli undici pezzi; ci sono chitarre e banjo, strutture portanti di un sound polveroso e arido, a tratti sacrale, un folk primordiale e nerissimo, gotico appunto nel suo incedere fumoso e spirituale.
I rimandi alle due band di provenienza di Edwards si sentono, ed è naturale che sia così, ma il mood generale si mantiene costantemente mesto e contemplativo, soffuso, una nube che avvolge e che annebbia. Similarmente a quanto fatto da Nick Cave con Ghosteen il Nostro cambia un po’ registro innestando una buona dose di elettronica e drones, di riverberi ondivaghi e quasi noise che, come detto poco più sopra, fanno da base e da contorno essenziale ma mai invasivo. La voce di Edwards è ora baritonale, ora filtrata, ora pura e cristallina, ma sempre toccante e profonda, un vero e proprio strumento con il quale l’Artista ci parla di sogni, incubi, di vita e morte, con un fare che, se non siete familiari con la sua musica, può ricordare Tom Waits, Mark Lanegan, Munly, Tony Wakeford, Nick Cave, Pall Jenkins, Carl McCoy… Insomma, un mondo che tocca il folk e il country nelle loro vesti più alternative, l’Americana, il neofolk, il gothic e il rock cantautorale. Probabilmente non un piatto per tutti, ma una pietanza prelibata per coloro che, oltre ad amare 16 Horsepower e Wovenhand, apprezzano anche il gruppi o gli artisti citati poco sopra. Hyacinth non ha un pezzo più debole, non presenta particolari sbavature, si fa ascoltare e, se ci si dedica con attenzione, sa ipnotizzare e non lascia più. Il suo limite per qualcuno può essere la generalizzata somiglianza delle atmosfere che animano i pezzi, senza particolari sussulti, ma per chi scrive è un punto di forza del disco, un quid in più che contribuisce ad immergere maggiormente l’ascoltatore nel mood quasi sciamanico del disco.
C’è poco da girarci intorno: vi piacciono David Eugene Edwards, le sue band e in generale l’Americana nei suoi tratti più oscuri? Fate vostro Hyacinth e non ve ne pentirete. Debutto con i fiocchi, ma d’altra parte non potevamo aspettarci diversamente da questo grande Artista.
(Sargent House, 2023)
1. Seraph
2. Howling Flower
3. Celeste
4. Through The Lattice
5. Apparition
6. Bright Boy
7. Hyacinth
8. Lionisis
9. Weavers Beam
10. Hall of Mirrors
11. The Cuckoo