La bioluminescenza è un fenomeno per cui alcuni organismi viventi emettono luce attraverso naturali reazioni chimiche, nel corso delle quali l’energia chimica viene convertita in energia luminosa. Sebbene interessi principalmente gli organismi marini (coralli, pesci, crostacei, alghe, molluschi, etc), essa è ampiamente diffusa anche tra gli insetti (basti pensare alle lucciole, ad esempio), i funghi e i batteri. Si stima che il fenomeno ebbe origine circa 540 milioni di anni fa e, come spesso accade nel mondo naturale e animale, alla base del processo vi furono meccanismi riproduttivi e un naturale impulso alla sopravvivenza. Questo breve excursus ci porta ad introdurre Bioluminescence, seconda fatica di ampio respiro targata Dawn of Ouroboros, band progressive black/death metal originaria di Oakland capitanata dalla vocalist e fondatrice Chelsea Murphy e dal chitarrista e addetto ai synth Tony Thomas.
Al di là del titolo, già di per sé evocativo, parliamo di bioluminescenza perché Thomas, appoggiata la chitarra e indossato il camice da laboratorio, lavora come biologo molecolare e, unendo i puntini, possiamo supporre che abbia quantomeno guidato l’indirizzo tematico dell’opera. L’album si sviluppa infatti intorno al concetto di natura ed è fortemente ispirato all’oceano, alla flora e alla fauna che lo abitano e a tutta quella magia quasi trascendente che pervade la narrazione dell’ambiente marino. Andando ora al sodo, iniziamo con il dire che Bioluminescence non è un disco semplicissimo e, come tanti dischi a base progressive, per essere compreso fino in fondo necessita di più di un ascolto concentrato. Tra l’altro – non sempre ma nemmeno di rado – il prog è associato all’idea del virtuosismo fine a sé stesso e a quella di una musica volutamente machiavellica che tralascia consapevolmente il coinvolgimento emotivo per appagare invece il desiderio di complessità e di atipicità compositiva. Che ci sia del vero in queste considerazioni, sicuramente estremizzate da alcuni, è indubbio, ma non esiste nulla di più sbagliato se parliamo di Bioluminescence. La componente progressive c’è, ma è incanalata nell’imprevedibilità quasi jazzistica (citata anche dal gruppo stesso come elemento cardine delle canzoni) più che nella ricerca dell’estremizzazione delle strutture o del tecnicismo esasperato. È giusto sottolineare che i Dawn of Ouroboros suonano benissimo e sposano comunque la filosofia della complessità elevata, ma convogliano gli sforzi nella direzione di una musica che cerca – e trova – le corde emotive dell’ascoltatore. Sebbene sia complesso parlare di generi davanti ad opere di questo tipo, che giocano mischiando, contaminando e scardinando le classificazioni ordinarie, per dare qualche ulteriore indicazione in alcune circostanze siamo davanti anche ad una componente technical death non lontana dai Fallujah o dagli Obscura. Ad affiancare le ricercate trame di chitarra che accomunano i Nostri ai gruppi qui citati e una batteria talvolta vertiginosamente vicina al black troviamo poi come componente di spicco la prova vocale della Murphy, che alterna con disarmante disinvoltura growl gutturali di classica estrazione death, scream e un più che armonioso “pulito”, che in più di un’occasione prende il timone e trascina le sonorità verso lidi più eterei e sospesi.
Strutture poco ortodosse, imprevedibilità, un concept davvero particolare e tanta qualità da parte dei musicisti coinvolti rende Bioluminescence un prodotto progressive death davvero ben fatto, con la componente tecnica che strizza sempre l’occhio a quella emozionale. Così come l’oceano di cui l’album tratta, la musica alterna sfuriate poderose a momenti di calma e contemplazione, arrivando a toccare corde che nel genere di riferimento vengono raggiunte di rado. Un gruppo che, è proprio il caso di dirlo, sa come brillare.
(Prosthetic Records, 2025)
1. Bioluminescence
2. Nebulae
3. Slipping Burgundy
4. Poseidon’s Hymn
5. Dueling Sunsets
6. Static Repetition
7. Fragile Tranquility
8. Mournful Ambience