L’intransigenza sonora dei Demikhov non conosce cali di tensione. Ogni loro release è (da sempre) improntata all’esaltazione di una iconoclastia auricolare che non guarda in faccia a niente e a nessuno. È qui che incontriamo il loro punto di forza, quello che permette al terzetto di non cadere in quei facili eccessi che rischiano di degenerare tristemente nel nonsense sonoro. La capacità di autoconservazione con cui dimostrano di essere sempre sul pezzo, in grado di mantenere quella lucidità di base che garantisce una resa di alta qualità, in cui nulla è lasciato al caso, neppure quei dettagli che possono apparire secondari. Altro segno di una grande consapevolezza nei propri mezzi. Sono passati sette lunghi anni dal loro primo album. Sette anni in cui oltre ad aver dato alle stampe un paio di split EP, sono riusciti a costruirsi uno studio registrazione, tra l’altro molto ben avviato. Sette anni che sono stati assolutamente ben spesi, stando a quanto si ascolta in questo loro nuovo lavoro.
The Chemical Bath ci porta nuovamente nell’ex Unione Sovietica, in un immaginario che si staglia a cavallo tra la scienza e la storia, col tentativo degli scienziati sovietici di abbattere il muro che separa l’uomo dalla morte, in una visione che potesse finalmente guardare all’immortalità. L’album è è il fedele racconto del percorso di imbalsamazione del corpo di Lenin, che sfociò nel tentativo di preservazione definitivo (il “bagno chimico” del titolo appunto) per mantenerne le sembianze quanto più “vive” possibile, e della successiva costruzione del mausoleo a lui dedicato. Registrato in casa presso il loro studio Produzioni Rumorose e masterizzato dalle mani di James Plotkin, il disco lascia il segno sin da subito, ma è con il suo incedere che raggiunge lo stato di grazia. Pur se ancorato al loro delirante mix tra noise e hardcore, per nulla scalfito dal passare del tempo, l’album ci regala la grande novità dell’inserimento delle linee vocali, che contribuiscono ad aumentare il tasso di gradevole ostilità della loro proposta, che riesce a rendere realmente “concreto” il legame tra l’idea concettuale alla base del disco e la sua trasposizione sonora, in un rendez vous catastrofico che riporta ad un momento storico quanto mai oscuro in cui il corpo umano era visto come materiale da esperimento.
The Chemical Bath ha una forte, fortissima connotazione psichedelica che guarda alla sperimentazione cerebrale, che si sublima nei fantastici diciannove minuti finali di “Mausoleum”, traccia in cui i Demikhov si lasciano andare ad una sorta di suite senza limiti di tempo e di spazio, caratterizzata da un approccio che ci conduce puntualmente nel luogo più distante rispetto a quello che pensavamo di avere appena raggiunto. Un album, come detto, delirante e rumoroso in ogni sua componente, da ascoltare al massimo del volume per godere al massimo di tutte le sfumature di cui è composto. Dissonante ma mai cacofonico, il disco riesce a destrutturare la musicalità distruggendo la “forma canzone” a favore di “esperimenti” sonori perfettamente riusciti. La colonna sonora ideale per calarsi nel buio di un antro a metà tra una sala operatoria e una di anatomia patologica.
(Dio Drone, Sweetohm Records, Kontingent Records, 2023)
1. Science! Science! Science!
2. The Leader is Dead and Everyone is Grieving
3. A Short Journey to the Soviet Brain Institute
4. Abrikosov Formula
5. The Chemical Bath
6. Mausoleum