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Dymna Lotva. Il duo bielorusso (Jauhien Charkasau e Katsiaryna “Nokt Aeon” Mankevich) nasce nel 2015 e si caratterizza sin da subito per alcuni tratti peculiari, sia musicali che tematici. Unendo alcuni elementi della musica folkloristica del paese natio a (post-) black metal, doom e post-metal, e ispirandosi alla storia della Bielorussia e alle sue leggende, i Nostri si sono presto distinti per una ferrea opposizione nei confronti del regime di Lukashenka. Questa presa di posizione li ha costretti ben presto a fuggire dal paese e a smantellare la band: un tentativo di riunione in Ucraina prima (fallito a causa dell’invasione russa) e una fuga in Polonia poi (dove di fatto il duo risiede adesso) sono alla base di questo The Land under the Black Wings: Blood (Зямля Пад Чорнымі Крыламі: Кроў).
Un lavoro lungo, snervante, impegnativo per i generi ed i temi trattati, a più riprese addirittura inquietante, che vede anche la partecipazione di alcuni ospiti che hanno contribuito alla stesura delle tredici tracce presenti, non tutte caratterizzate dalla stessa incisività ma nel complesso soddisfacenti. L’opera vede a parer nostro un netto squilibrio a favore della prima metà, dove sembrano concentrarsi i brani più ispirati: “Come And See”, “Buried Alive”, “Death Kisses Your Eyes”, “Hell”, “Ashes” e “The Pit” si avvicendano infatti l’uno con l’altro mantenendo ben alto il livello di coinvolgimento emotivo. Il merito va ricercato nell’egregio lavoro di commistione di sonorità, con continui passaggi tra depressive, black metal atmosferico, sinfonico e aperture acustiche, con una tensione sempre elevata e maestosa, crescendo incalzanti ed un’intelligente e mai ruffiana ricerca della melodia. Il singolo “Hell” è probabilmente una delle cose più terrificanti uscite negli ultimi mesi, con una ninnananna allucinata che si unisce al pianto straziante di un bambino, perfetto sfondo di un pezzo che incede lento e mistico, tragico come certe cose degli Amenra, prima di sfociare nel cantato sgraziato e depressive di scuola Solefald o Lifelover. Poi il sassofono che di punto in bianco getta un alone interlocutorio e dannatamente malinconico alla canzone, che già alla sua metà tocca il suo più alto apice emotivo, elevandosi verso cime atmosferiche e notturne salvo poi ripiombare nella disperazione più acuta. Dopo questo distruttivo bombardamento emotivo, peraltro degnamente portato avanti dai due successivi brani, c’è una fase di flessione d’ispirazione in The Land under the Black Wings: Blood, che coinvolge praticamente tutta la seconda parte ad eccezione forse di un paio di momenti. Non siamo di fronte a canzoni mal riuscite, sembra semmai venire meno il focus, la poesia e il pathos che avevano invece caratterizzato la prima metà del disco. I restanti pezzi scorrono dunque via senza lasciare molto, chiudendo senza particolari scossoni un lavoro che era invece partito con il botto.
I Dymna Lotva hanno concepito un concentrato assolutamente imprevedibile e talvolta schizofrenico di rabbia, livore, malinconia, terrore e ricordi di qualcosa che non c’è più: un lavoro freddo, gelido, che odora di sangue, terra e foglie morte, un viaggio isterico e folle, ma a tratti assai coinvolgente. Forse la lunghezza eccessiva ha messo un po’ fuori strada i Nostri: una maggiore incisività e compattezza avrebbero forse giovato a The Land under the Black Wings: Blood. Che, lo ripetiamo, è un album di tutto rispetto sia per la proposta musicale che per i contenuti che tratta, ma che va ascoltato con calma e attenzione per carpirne al meglio tutte le sfumature che lo caratterizzano.
(Prophecy Productions, 2023)
1. Come And See (Ідзі І Глядзі)
2. Buried Alive (Пахаваны Жыўцом)
3. Death Kisses Your Eyes (Смерць Цалуе Ў Вочы)
4. Hell (Пекла)
5. Ashes (Папялішча)
6. The Pit (Яма)
7. Cruelty (Лютасць)
8. Night Witches (Nachthexen)
9. Till The End (Да Скону)
10. Dead Don’t Hurt (Мёртвым Не Баліць)
11. Unquenchable (Нязгаснае)
12. To Freedom (Да Волі)
13. Blood (Кроў)