“Other bands play, Manowar kills”… era il lontano 1988 e così la sempre modesta e umile band capitanata da Eric Adams e Joey DeMaio manifestava il proprio (appena appena) accennato senso di autostima, rivendicando il trono della metal scena a tinte epic/power. Al di là delle valutazioni di merito su una carriera fino a quel punto indubbiamente straordinaria e pur ammettendo che le esigenze di immagine e marketing abbiano un po’ artificialmente forzato la mano al combo di Auburn, resta qualche dubbio sull’opportunità di siffatte autoproclamazioni, almeno per chi è convinto che l’insindacabile giudizio non spetti a chi la musica la crea ma piuttosto a chi la incrocia dall’altra parte di cuffie & casse.
E allora, in qualità di semplici fruitori del pentagramma sempre e comunque pronti ad ammettere che il gusto personale non può mai accampare pretese da verità assoluta, a sette lustri di distanza da quella roboante affermazione e in un orizzonte artistico completamente differente (peraltro con l’assoluta certezza che i destinatari del nostro giudizio saranno i primi a schermirsi al cospetto di cotale investitura), ci permettiamo di proporre una modifica al testo originale trasformandolo in un convinto e aggiornato “Other bands play, (EchO) kills”. Chi ha avuto l’occasione di incrociare e seguire passo dopo passo il moniker bresciano nel corso di una carriera che nel frattempo ha tagliato il mai banale traguardo dei quindici anni, sa che raramente come in questo caso i lampi di grandezza scatenati da un esordio sontuoso del calibro di Devoid of Illusions si sono puntualmente ripresentati ad ogni rilascio successivo, a disegnare un percorso qualitativamente impressionante. La sensazione di fronte a un simile debutto era che la band fosse nata sotto una di quelle rare e fortunate congiunzioni astrali per cui si potesse spendere fin da subito la definizione di “maturità” e “dimensione internazionale” e i lavori successivi hanno puntualmente confermato previsioni e auspici. Certo, un aiuto fondamentale è arrivato dalla stabilità della line-up sul versante delle sei e delle quattro corde con l’ormai consolidato sodalizio Saccheri/Ragnoli/Bellini, ma non va mai dimenticato che i Nostri hanno anche dovuto affrontare le forche caudine di un passaggio ad altissimo rischio come la dipartita dell’ugola originaria Antonio Cantarin, sostituito però fin dal sophomore Head First Into Shadows da un’altra supernova vocale come Fabio Urietti. La grande forza degli (EchO), negli anni, è sempre stata quella di non attardarsi nell’autocompiacimento per la maestria nel maneggiare la materia doom/death di scuola scandinava di cui avevano dato ampia prova nel debutto e, se è vero che il cordone ombelicale con l’oscurità goticheggiante non è mai stato reciso del tutto, è altrettanto innegabile che alle canoniche, imprescindibili devozioni Katatonia e Swallow the Sun si è affiancato e sovrapposto un lavoro di ricerca sonora che li ha portati ad affinare una vena “narrativa” tradotta in un retrogusto prog di marca Opeth. Li avevamo lasciati così, nel 2019, con lo splendido Below The Cover of Clouds e li ritroviamo in un immutato stato di grazia con questo nuovo Witnesses, che sviluppa ulteriormente le spinte del predecessore portando a compimento quella che comunque è tutt’altro che una mutazione genetica, ma piuttosto la certificazione di uno status di fuoriclasse in grado di frantumare i confini tra i generi. Ecco allora che gli amanti delle pesantezze doom intrecciate con le improvvise esplosioni di energia melodicamente controllata di derivazione death troveranno comunque abbondante pane per i loro denti, ma va detto in premessa che siamo in presenza di una pluralità di cuori pulsanti, ciascuno con il proprio, essenziale contributo in termini di ispirazione e resa. La sensazione di fondo è che il quintetto (consideriamo qui membro a tutti gli effetti anche Francesco Bassi alle pelli, in realtà non organicamente inserito in line-up) si stia sempre più orientando verso una declinazione meno individuale/intimista rispetto alle ultime prove del grande totem swallowiano, puntando invece su una sorta di “coralità” che interpreti ansie collettive piuttosto che tormenti individuali. Non stupisce, quindi, che buona parte delle tracce finisca per ammantarsi di un alone quasi epico, a comporre una raccolta di inni o salmi laici dove la prometeica rivendicazione della nostra natura gioca una partita a tutto campo contro l’umana impotenza di fronte al destino e stupisce ancor meno che, rispetto al tripudio della tavolozza dei grigi di casa a Jyväskylä, si assista a un parzialmente inatteso trionfo di colori e flash luminosi. Come sempre, oltretutto, i bresciani hanno in serbo più che succulente sorprese e il capitolo ospiti è anche stavolta pantagruelicamente apparecchiato, a partire dalle tastiere affidate al maestro di casa Evoken, Don Zaros, passando per il cammeo di Alexander Högbom e chiudendo con una delle regine del doom etereo, Heike Langhans, scesa di recente dalla tolda del galeone Draconian per affrontare nuove rotte alla guida del vascello Remina. Completa il quadro il solito, eccellente lavoro dietro le quinte, con registrazione e mixaggio affidati a Francesco Genduso (che i doom-devoti ricorderanno senz’altro anche nel suo ruolo di frontman dei liguri Plateau Sigma) e masterizzazione come sempre nelle impeccabili mani di Greg Chandler, del resto uno dei primi a credere nelle potenzialità della band già ai tempi del debut. Sette tracce (otto, se consideriamo la brevissima “Lethargy” che apre le danze) per un ascolto complessivo di poco inferiore ai cinquanta minuti, Witnesses incendia subito la miccia con l’opener “Laudanum”, distillato aureo della poetica dei Nostri con l’incedere tormentato delle strofe che sciolgono la tensione accumulata sfociando in un tema portante tanto semplice quanto melodicamente accattivante e fa deflagrare fuochi d’artificio per tutta la durata di un viaggio in cui ogni stazione rivendica fondatissime ragioni per una sosta. Che si scelgano le sabbie arroventate della cadenzata e spigolosa “Wanderer” (altrimenti leggibile anche come traversata in acque tempestosamente limacciose sulla scia di quel nautik doom con cui alcuni riassumono la traiettoria degli Ahab di Daniel Droste, non a caso altro storico ospite ai tempi di Head First Into Shadows), le strutture massicce e imponenti della fortezza “Monochrome” che sposano con alchimia sorprendente raffinati arabeschi prog, le punteggiature gothic della notturna “Chemical” (e citazione speciale qui per i riff dal sapore classic heavy della seconda parte) o le magnifiche aperture cosmic/space che impreziosiscono la conclusiva “Saturated”, c’è posto praticamente per qualsiasi palato pronto ad esaltarsi di fronte a un legame così magicamente intrecciato tra forme e contenuti. Dovendo eventualmente sbilanciarci sulle vette di quello che rimane a tutti gli effetti un impressionante altopiano qualitativo, ci permettiamo però di dare indicazioni per individuare le due possibili cime hors catégorie, cominciando dalle spire prima sinuosamente velenose e poi hard rock oriented della potente e allo stesso tempo avvolta da un alone di mistero “Fate Take Its Course” (tra l’altro esempio perfetto del livello ormai spaventoso raggiunto dal vocalist Fabio Urietti nell’alternanza e nei dosaggi di scream e clean, che gli conferiscono lo status di strumento imprescindibilmente aggiunto), per passare alla perla malinconico/crepuscolare della compagnia, “My Covenant”, che trova modo di valorizzare il duetto con lady Langhans senza correre il benché minimo rischio di scivolare nei triti cliché dell’accoppiata beauty and the beast, azzardando finanche qualche rintocco electro che allarga ulteriormente orizzonti già sconfinati.
Elegante e raffinato senza perdere un solo grammo di potenza ed energia, ispirato ed emozionalmente coinvolgente con una cura dei dettagli che non danneggia mai il sacro fuoco del trasporto e dell’abbandono che deve sempre fare la differenza a queste latitudini pentagrammatiche, Witnesses è un album che punta dritto all’empireo del cielo doom/death (e non solo) di questo 2022. Ancora una volta dall’antro degli (EchO) è uscito un diamante purissimo, da avere assolutamente e conservare con cura.
(Black Lion Records, 2022)
1. Lethargy
2. Laudanum
3. Fate Takes Its Course
4. Wanderer
5. My Covenant
6. Monochrome
7. Chemical
8. Saturated