Parlare di Eraldo Bernocchi senza citare quello che è stato, ed è tutt’ora, il suo ruolo all’interno della scena musicale europea non è affatto facile. In un modo o nell’altro il rischio di finire per celebrare una carriera anziché fermare il tempo cristallizzandolo al quotidiano è reale, per certi versi quasi tangibile. Non credo si tratti di una sorta di doverosa deferenza, è piuttosto la difficoltà di separare l’eco delle sue precedenti release da quella più recente, fingendo di dimenticare tutto quello che c’è stato prima, che mi frena nel momento in cui cerco le parole più adatte a raccontare quelle che sono (state) le mie sensazioni sin dalla prima volta che ho avuto modo di ascoltare Sabi.
Di lui conosciamo più o meno tutte quelle che sono le coordinate sonore con cui si è negli anni rinnovato, così come siamo in grado di stilare una lista piuttosto aggiornata delle collaborazioni che ha messo in piedi. Lista a cui dobbiamo aggiungere oggi, in quella terra di mezzo a cavallo tra un anno che si spegne e un altro che sorge, quella con Hoshiko Yamane dei Tangerine Dream qui giunta al suo secondo episodio, dopo il debutto della loro liaison Mujo, andato in stampa in piena pandemia quattro anni orsono.
Sabi è un album malinconico, caratterizzato da un minimalismo sonoro, che riesce a coniugare l’elettronica sperimentale di Bernocchi con il violino della Yamane, e che guarda, concettualmente parlando, ad un approccio costruito su concetti quali decadenza e impermanenza, che si specchia nell’eleganza ancor prima che nell’introspezione. Nel disco tutto è temporaneo, tranne – fortunatamente – il suo spessore artistico, frutto di un connubio assolutamente azzeccato, che riesce a esaltare ogni sfumatura, dando lustro e spessore ad ogni passaggio. Non è un disco di facile immedesimazione, ma è proprio questa sua – iniziale – difficoltà a renderlo appetibile.
(Denovali Records, 2023)
1. Hidden Secret
2. Imperfection
3. Natsukashii
4. Ripples
5. Freefall
6. Matte
7. Our days
8. Yugen
9. Ichirin