Con Bearer of Many Names I tedeschi Eremit raggiungono la fine del precorso intrapreso nel 2019 con Carrier of Weight, e proseguito l’anno scorso con Desert of Ghouls, un’immaginifica trilogia che segue l’errare, fisico e spirituale, di un io narrante che batte le aride spoglie di una terra fantasma. Orchestrato con i ritmi granitici e fumosi che fin dai recenti esordi caratterizzano il suono della band, l’album è la degna conclusione di un’epopea criptica, descritta fin dal suo primo capitolo per dettagli essenziali, lasciati come falò in quel deserto che i nostri, chitarre alla mano, mappano sotto gli occhi di chi ascolta.
Quella degli Eremit è una proposta che molto lascia fare all’ascoltatore: una composizione di doom atmosferico essenziale e curata, coronata da titoli strutturati ed evocativi (si veda il molto suggestivo “Unmapped Territories of Clans without Names”) su cui ognuno può proiettare le proprie fantasie, lasciando viaggiare l’immaginazione. Introdotti da un arpeggio sognante alla Mille e una notte si entra in questa terra desolata, per essere gettati dopo una manciata di minuti tra le buie forre così ben rappresentate dall’artwork dell’album, circondati da chitarre distorte e urla raschiate, a seguire una linea vocale propria di certo sludge old-school. I riff si trascinano lenti ed inesorabili, impreziositi solo da variazioni dietro le pelli o sui tempi delle sei corde, che qua e là decidono di farsi ancora più cupe e austere, come un vento che batta così forte sul deserto da non far sollevare un singolo granello di sabbia. Si prosegue, superata la funerea mezz’ora della prima traccia, con “Secret Powers…”, dai toni molto simili alla precedente per impostazione ed esecuzione: una marcia funeral doom dal riffing monolitico, invariato nella sostanza per l’intera durata del pezzo. L’estenuante viaggio termina con “Unmapped Territories…”, dalla vena molto più atmosferica rispetto alle composizioni precedenti, aperta da un rullante dal sapore tribale e dagli arpeggi distesi sopra una distorsione perenne, che ci accompagna in un mood tutto drone doom fino alla fine di questo Bearer of Many Names.
Ascoltare una composizione degli Eremit significa farsi Tolkien per l’ora scarsa della durata del lavoro, costruire regni e tracciare confini sulle brulle steppe che le doti dei musicisti srotolano sotto i nostri piedi. Quella lasciata a noi dai tedeschi è più che la costruzione di un infantile mondo fantasy, è una tela musicale, impalpabile ma percepibilissima, di cui ogni ascoltatore può fare ciò che vuole, che a ispirarlo siano i ritmi ipnotici, i titoli dei brani, l’artwork o la forma delle nuvole in cielo. Un album tutt’altro che monotono e autoreferenziale quindi (come purtroppo capita nel genere), ma un ritaglio di tempo tutto nostro, in cui perderci e girovagare col pensiero, cercando di imitare per un po’ la vena fantastica di Colui che Porta Molti Nomi.
(Transcending Obscurity Records, 2021)
1. Enshrined in Indissoluble Chains and Enlightened Darkness
2. Secret Powers Entrenched in an Ancient Artefact
3. Unmapped Territories of Clans without Names