Speed metal, un genere che non accontenta mai nessuno che non ne sia un effettivo fan, per colpa del suo essere troppo power per essere thrash e troppo thrash per essere power e troppo power per chiunque non gradisca il power stesso. Mi pare di essere stato abbastanza chiaro. Gli Eternity’s End sono ormai al loro terzo disco e se proprio devo dirlo, sì, mi pare che questa sia la maturità. Eh sì perché Unyelding e The Fire Within per quanto pieni di intenzioni soffrivano molto di ingenuità, ma Embers Of War esce proprio per far salire questo scomodo gradino alla band tedesca.
Qui c’è veramente poco da dire sui musicisti, non stiamo parlando di giovinetti estremamente preparati, parliamo bensì di gente con alle spalle esperienze di importanza notevole perché tre quinti della band sono ex Obscura. E come si finisce a fare speed metal dopo essere stati dei colossi del technical death? Non è chiaro, ma una cosa è sicura, tutto questo, a partire dal pezzo in apertura “Dreadnought” fino a quello in chiusura “Embers Of War” trasudano sincerità da ogni misura, o almeno così voglio credere. Devi avere un bella passione per abbandonarti a una sbandata così drastica. Ma quello che offre la band on Embers Of War non è solo velocità, epicità e tecnica, ma una vera e propria dedizione al genere, ma soprattutto un a volontà di voler dare il proprio contributo al panorama. Va da sé che non sto scrivendo di una band che emula Running Wild o Iced Earth. Di sicuro tutto parte da lì, senza dubbio, ma poi si trasforma e se devo dire una cosa che credo renda questo disco più appagante di molti altri dischi speed metal, senza dubbio è la continua venerazione al chitarrismo neoclassico di Yngwee J. Malmsteen e Jason Becker su tutti. I brani sono delle sfuriate di riff veloci e melodici, in cui si può percepire perfettamente una nota di death metal, ma quest’ombra si dissipa immediatamente nel momento in cui senti la voce graffiante di Iuri Sanson (ex Hybria) che tiene testa a praticamente tutto, anche al drumming da infarto di Hannes Grossmann. Sarò sincero, è praticamente impossibile memorizzare anche un solo riff di questo album, sono tutti troppo veloci e troppo vari, tanto che il disco ti rimane in testa tutto d’un pezzo, è molto difficile che resti nella memoria un dettaglio, ma penso che non sia stato concepito per questo. Ma io sono qui a scrivere proprio perché voglio menzionare il fatto che brani come “Call of the Valkyries” e “Arcturus Prime “ sono pieni di momenti particolarmente goderecci per quanto riguarda virtuosismi e cori battaglieri, entrambe cose che non fanno mai male. E nulla, non c’è molto altro da dire su questo disco.
Come ho scritto in altre recensioni come quella dei Rhapsody Of Fire, non si tratta di musica che tutti possono apprezzare, la componente power è abbastanza marcata ed è praticamente impossibile avere un parere a metà strada tra il mi piace e il non piace a meno che non si abbia una passione abbastanza forte da coprire tutti i sottogeneri metal. Per tutti gli altri ci sono solo due possibilità: o lo si ama alla follia o lo si odia a morte. Siccome io faccio parte di quelli che ascoltano tranquillamente sia il thrash che il power dirò che questo disco è superiore alla media della massa di dischi di questo genere che escono abitualmente, un disco che non fa per niente ripensare ad altri lavori come Violence & Force degli Exciter o Into The Mirror Black dei Sanctuary in maniera maliziosa, ma come un altro tassello di spessore di un genere considerato vecchio e troppo ibrido. Insomma un gran disco se si ha tra i propri ascolti gente come i Sacred Reich, Agent Steel e Laaz Rockit.
(Prosthetic Records, 2021)
1. Dreadnought (The Vojage of the Damned)
2. Bane of the Blacksword
3. Hounds of Tindalos
4. Call of the Valkyries
5. Arcturus Prime
6. Shaded Heart
7. Deathriders
8. Embers of War