Non è mai facile recensire un disco dei Falls of Rauros. La band originaria di Portland (Maine) ha abituato gli ascoltatori a non aspettarsi mai lo stesso album: difficilmente infatti i Nostri hanno mantenuto la stessa formula da una release all’altra, giocando con gli stili, le influenze e le atmosfere andando a creare di volta in volta prodotti sempre diversi eppure perfettamente riconducibili alla band madre. E anche in questo caso Key to a Vanishing Future non fa eccezione.
“North Appalachian Heathen Black Folk Metal”: questa era un’autodefinizione che il gruppo aveva pensato di assegnarsi, anni fa, per descrivere il proprio sound: attualmente potremmo parlare più precisamente di “Progressive Black Folk Metal”, visto il modo con il quale le sei tracce si dipanano per la durata di questo lavoro. I nomi che ci vengono in mente sono Panopticon, Ashbringer, qualcosa degli ultimissimi Agalloch: sintetizzando questi (e probabilmente altri) riferimenti i Falls of Rauros hanno saputo concepire un disco complesso nelle strutture ma allo stesso tempo abbastanza immediato nella fruizione (prendetela con le molle questa affermazione), cupo e disperato ma con aperture melodiche quasi solari e speranzose, viscerale e in larga misura coinvolgente. Prendiamo ad esempio la traccia in apertura “Clarity”, peraltro scelta come primo singolo estratto: l’arpeggio delicato che la introduce rimanda immediatamente a “Dark Matter Gods” degli Agalloch, un’intro sospesa che dopo poco si sviluppa in un minaccioso attacco sonico, con le chitarre che si fanno di colpo avvolgenti, cupe e taglienti, unendo il meglio della tradizione black norrena alle sonorità tipiche del black atmosferico americano. L’evoluzione delle sei corde, melodica e incalzante, richiama certe cose fatte dagli Ashbringer, soprattutto nel modo in cui queste sanno coinvolgere l’ascoltatore: ma la natura cangiante dei Nostri si palesa prestissimo, e già intorno alla metà del pezzo abbiamo certi assoli e certe strutture labirintiche ed intricate figlie dirette di un progressive metal non troppo cervellotico ma intricato quanto basta per donare una forte spinta dinamica alla canzone. Quando le trame si fanno più complesse, ricche ed articolate il rimando diretto sono senza dubbio i Panopticon: il modo in cui il gruppo balza da un’atmosfera all’altra, la capacità di legare tra loro (non sempre con successo, va detto) riff e cadenze diverse, tutte queste sono caratteristiche riscontrabili anche nel progetto di Lunn, di fatto un po’ una croce e delizia per chi segue il suddetto Musicista, dato che rendono l’ascolto alle volte fin troppo complesso e difficile da digerire. Le strutture ed i riferimenti appena descritti sono individuabili in un po’ tutti i pezzi che compongono Key to a Vanishing Future: non sempre il livello qualitativo dei brani è lo stesso, talvolta capita di sentirsi coinvolti e trascinati dalle atmosfere di una canzone, salvo poi essere bruscamente trascinati a terra da un assolo che tutto sommato non ci stava, o forse poteva essere proposto in maniera diversa. Questo per chi scrive è sempre stato il difetto più grosso dei Falls of Rauros: vanno bene i cambi di atmosfera così come le tante influenze messe in campo, ma è necessario anche saper mantenere un certo filo conduttore all’interno di un pezzo altrimenti l’ascoltatore si smarrisce e rischia di non comprendere certe soluzioni finendo per bollarle come inutili o manieristiche. In questo lavoro i Nostri sembrano per fortuna aver reso un po’ più fruibile il tutto, pur mantenendo piuttosto alti gli standard di complessità di ogni singola canzone: da qui il mio “prendetela con le molle questa affermazione” di qualche paragrafo più sopra. In ogni pezzo c’è sempre lo spazio per gli assoli, per le lunghe divagazioni strumentali e chitarristiche, che nella maggior parte dei casi riescono a mantenere ben salda l’attenzione di chi ascolta, e solo in pochi casi lo portano a chiedersi se davvero ci fosse stata la necessità di ricorrere a certe trovate stilistiche.
Key to a Vanishing Future conferma i Falls of Rauros come una delle band di punta del panorama atmospheric/folk black metal a stelle e strisce: più in ombra e schivi di tanti altri gruppi più blasonati, ma non per questo meno meritevoli di attenzione, i Nostri ci consegnano un lavoro 100% loro seppure diverso dai precedenti. Recuperando certi momenti più viscerali di Hail Wind and Hewn Oak per unirli alle strutture più complesse che via via la band ha saputo costruire (non ultimo con Patterns in Mythology), aggiungendo ai tocchi melodici, epici, drammatici di The Light That Dwells in Rotten Wood delle evoluzioni tipiche del prog, il gruppo ha confermato la propria genuina abilità nel produrre lavori dall’alto tasso tecnico ma allo stesso tempo caldi nel modo in cui lasciano trasparire la passione con il quale sono stati suonati. Non tutte le canzoni contenute hanno lo stesso peso, alcune possono risultare più difficili da digerire e meno coinvolgenti, ma siamo comunque di fronte ad un disco assolutamente degno di essere ascoltato e goduto da tutti gli amanti delle sonorità e dei gruppi finora descritti e citati.
(Eisenwald Records, 2022)
1. Clarity
2. Desert of Heart
3. Survival Poem
4. Known World Narrows
5. Daggers In Floodlight
6. Poverty Hymn