Quando mi è stato proposto di recensire l’ultima fatica targata Fange, il qui presente Purulences, ho leggermente storto il naso. Il motivo è presto detto: non sono un amante dell’industrial metal. Leggendo i dettagli offerti dal kit promozionale, dove si parlava di un forte “ritorno alle chitarre” rispetto agli ultimi lavori della band, ho tuttavia deciso di accettare di buon grado l’offerta. A conti fatti, posso dire che mai scelta fu migliore, considerando la qualità dell’album.
Andando con ordine, i Fange sono un prolifico gruppo industrial/sludge francese, con all’attivo ben otto lavori di ampio respiro. Negli anni, la ricerca del quartetto è sempre stata orientata ad esplorare tutti i meandri dell’industrial, da quello più freddo, glaciale e propriamente elettronico, fino a quello dalle sonorità più calde e avvolgenti, ma declinando sempre la propria musica in un’accezione malevola e sinistra. Purulences, rispetto ai predecessori, offre una rappresentazione di un incubo allucinato, con una batteria elettronica ossessiva, riff monolitici di stampo quasi death, un cantato che a tratti è urlato, sincopato, a tratti invece è quasi affannato e teatrale. Non ci sono momenti di calma o riflessione, la musica è una tempesta di angoscia che si abbatte con forza sui timpani, martellandoli senza soluzione di continuità. Quella che spicca è poi una componente epica caratterizzata da alcuni picchi vocali e dalle sezioni più corali, come se il disco volesse essere una colonna sonora per la fine del mondo, un inno in grado di unire il disperato grido degli ultimi sopravvissuti. Da ultimo, non si nasconde nemmeno la componente sludge, declinata nella maniera più appropriata e – paradossalmente all’interno di un progetto a base industrial – più fedele a quello che lo sludge dovrebbe essere: sporcizia musicale, colate di catrame, sangue rappreso.
Nonostante la mezz’ora di durata, Purulences non scivola via così facilmente. Un disco che, come l’artwork sembra suggerire, ti inghiotte e ti trascina in sabbie mobili fatte di angoscia, disperazione, rabbia convogliata in violenza disorganizzata. Un lavoro di classe di una band esperta, trascendentale per la grandezza delle sensazioni trasmesse eppure così terreno nella descrizione musicale del concetto di sofferenza. Un disco con cui la scena dovrà confrontarsi.
(Throatruiner Records, 2025)
1. Cavalier Seul
2. Sans Conviction
3. Mortes Promesses
4. Grand-Guignol
5. Juste Cruel
6. Langues Fourchues
7. Aux Abois