I Femur, canadesi, sono arrivati al loro secondo full-length, For The Love Of It. La band non sembra cercare dei nuovi territori sonori ma raffina lo stile che ha già mostrato con Red Marks del 2018, ma i due anni passati mostrano una crescita non indifferente. Il genere è un post-hardcore a tinte math, sludge e noise che non si perde cercando delle soluzioni di registrazioni estreme o angolari, ma dà quasi la sensazione di essere trasportati davanti alla loro sessione di registrazione. La tavolozza dei suoni ci dipinge delle sonorità dirette, granitiche e senza fronzoli che privilegiano l’ascoltatore che preferisce i dettagli a un muro di rumore. La copertina è una foto che ricorda molto Long Live dei The Chariot e parla della vita più intima di una band, la sala prove: ci invita a sederci e aspettare ma ci mostra già il risultato dello sforzo della band, rabbia insoluta e altresì inespressa.
La lunghezza del disco, attorno ai 40 minuti, permette alla band di mostrarsi in svariate sfaccettature. Canzoni come “The Shakes” e “Brian Welles” sono più da concerto e magari memorabili, vi inciteranno a pogare come se non ci fosse il Covid. Per il resto la band mostra un lato più fragile e sentito come in “Unconditional” o “Welcome Wind II”. Anche se non manca mai la carica, siamo davanti a un post-hardcore pieno d’emozioni, di perdite sentite e silenzi sostenuti sempre dall’eccellente comparto ritmico e sperimentazione noise. La band si ritaglia anche tanti spazi di sperimentazione di voce pulita e momenti di overdrive leggero, sapientemente calibrati e, quando ci sono, stilisticamente, sono molto soddisfacenti. Se ci si sofferma, si possono notare anche soluzioni vicine all’ambient o al noise rock, o che ricordano molto il post-hc dei tempi andati come i Drive Like Jehu.
Sicuramente For The Love Of It è un album che trae in inganno. Se all’inizio sembra che la band voglia creare materiale da concerto scapocciante, grattando via, leggendo i testi e ascoltando con calma si coglie un’introspezione assoluta. I Femur vogliono mostrare cosa significhi vivere, suonare, For The Love Of It (fare qualcosa per amore d’essa e nient’altro). Le tematiche ruotano intorno a ambiti personali, sono la maglia nella corazza monolitica della band. Forse dietro questo suon c’è rabbia senza nevrosi, una totale insicurezza rispetto a tutto quello che viene vissuto. Una rabbia autentica che viene dal disagio autentico, non da tecniche chitarristiche o da una registrazione dai suoni esasperati. Il disagio della nostra impotenza davanti al tempo che ci scaglia e sfracella imperterrito il nostro vissuto. Il disagio che diventa un luogo dove ci ritroviamo a guardare indietro nostalgicamente e amaramente. Una luce che filtra dalle tende, in bianco e nero.
(Autoproduzione, 2020)
1. The Shakes
2. Just because you can doesn’t mean you should.
3. Brian Wells
4. Unconditional
5. Fish Church
6. Often & Softly
7. Gulazzi
8. Welcome Wind II
9. Mr. G