Tornano con il loro sound indefinibile i Four Stroke Baron con un nuovo album pazzesco come al loro solito. D’altronde cosa ci si piò aspettare da una band che ha dato alle stampe due lavori come Planet Silver Screen e King Radio? Le loro sonorità con questo Classics forse non si sono evolute o rivoluzionate, ma a cosa servirebbe, dal momento che questa band è partita già avanti in partenza (perdonate il gioco di parole)?
Poco prima di questo disco la band si è ridotta a soli due membri, ma non per questo il sangue che scorre nella vena artistica dei Four Stroke Baron è diminuito, al contrario, forse è addirittura aumentato, si sa che con la diminuzione di menti a lavorare alla stessa cosa, le idee più folli vengono alla luce con più omogeneità e molto meno attrito. Ad ogni modo la grande ammirazione che questa band ha per l’illustrissimo Devin Townsend in questo disco è palese, basti pensare che ha il merito del mixing di questo meraviglioso disco e lo si percepisce molto bene in questo sound pomposo e gigante quanto un kaiju, tipiche caratteristiche di qualunque cosa faccia Devin. Allora, cosa abbiamo qui? Abbiamo una quantità prossima all’infinito di riff estremamente accattivanti e minimali allo stesso tempo che si cambiano, si intercambiano, si alternano e si evolvono in un circolo senza fine, una sperimentazione estrema con synth e campionamenti vari, voci provenienti da un’altra dimensione, sezione ritmica che è pura matematica con i muscoli e una composizione veramente strana e soddisfacente se si è amanti di quelle cose un po’ fuori dagli schemi tipo Tool o Soen o per l’appunto Devin Townsend non si può non amare con tutto il cuore. Un’ora di musica distribuita in brani dalla durata mutevole, alcuni sono corti, altri di lunghezza rispettabile, ma va detto che in entrambi i casi, la durata non è una conseguenza della sperimentazione, al contrario, la sperimentazione è proporzionata alla durata dei brani, in pratica non importa quanto siano lunghi i pezzi, la follia e la metamorfosi è sempre presente e si fa bastare le tempistiche. Intendiamoci, qui dentro è tutto molto bello, ma ci sono dei breakdown (mai telefonati tra l’altro, ti accorgi solo quando li stai già sentendo) meravigliosi, che non staccano per niente, non ritagliano la parte del brano, uno di questi è quello presente nel brano “G.O!” (probabile miglior pezzo assoluto dell’intero album) che potrebbe ricordare quello di “A Nightmare in 4D” degli A Thing About Machines, ma è nettamente migliore e per nulla pacchiano. Ultima nota va alla cover art particolarmente fumettistica ad opera di Gawank Kusumo, che rende alla perfezione la musica che si cela dietro.
Questo è un disco che tutti dovrebbero ascoltare perché regala tantissime emozioni e fa viaggiare l’immaginazione come pochi altri. Questo è un disco celestiale e altissimo, pieno di colore e sensazioni positive, quasi un successore spirituale di Transcendence dei Devin Townsend Project. Un disco in cui Type ‘O’ Negative e Tears for Fears incontrano Fear Factory e Strapping Young Lad,il tutto condito dagli Haken che suonano shoegaze. Strano vero? Forse non diventerà un classico come suggerisce il titolo, ma godiamone ogni secondo finché ce lo ricordiamo.
(Prosthetic Records, 2021)
1. Radium
2. Rolling Gloom 1999
3. Khera
4. Prostitute Part II: Pretty Woman (Makes Money)
5. 13 Steps To Stockton
6. G.O!
7. Friday Knight
8. Coast Of Barbary
9. Sundowner
10. Russian Thoughts Experiment (ft. NVOX)