Inspira. Espira. Urla come se ti stessero strappando via la pelle da sotto i piedi. Garden of Burning Apparitions, fuori il primo ottobre per Relapse Records, si apre con le laceranti urla di un Dylan Walker che dà il meglio di sé dietro al microfono, la voce che riesce, quasi per stregoneria, a squarciare il compatto muro delle distorsioni. Esatto, i Full of Hell sono tornati, emersi dal magma ronzante in cui mi piace vederli immersi in fase di composizione, con dodici nuove tracce per i loro canonici venti minuti di musica. Pedagoghi della distruzione auricolare e dell’olocausto acustico, i nostri scarnificano ulteriormente il proprio suono rispetto al precedente Weeping Choir (2019), amplificandone le immersioni noise e indurendone la matrice hardcore/grind, forgiando l’album forse più impegnativo ma al contempo più particolare della propria discografia.
È possibile superare in spietatezza musicale, in maleducazione sonora, la opener “Guided Blight”? Ne dubito fortemente. Vocals straziate eppure serratissime battono come cento tamburi su un fondo granuloso, che solo a tratti fa emergere dal fuzz ribollente le effettate voci degli strumenti. Ad introdurci al resto dell’opera, in buona parte caratterizzata da ritmi simili, a non concedere davvero un attimo di respiro a chi ha deciso di dedicarvisi. Già nella successiva “Asphyxiant Blessing” ciò che rende Garden… unico nella discografia dei FOH fa la propria comparsa: una linea chitarristica anomala e dissonante, ben definita sul brusio e sui rantoli, un approccio ricalcato forse dal capolavoro Using Sickness as a Hero degli Human Remains e del tutto diverso dallo scazzo power-violence à la Weekend Nachos o Nails di lavori più “canonici”. “Reeking Tunnels” è un altro palese esempio di questa scelta che, sia chiaro, non scalfisce l’impronta tutta personale dei Full of Hell, e non altera per nulla il suono della band se non in qualche sporadico episodio. Estremamente sovrapponibili a produzioni precedenti, infatti, sono altrettanti brani quali “Burning Apparition” o “All Bells Ringing”, che con i loro cambi di tempo vertiginosi sommersi da drone e distorsioni, ricordano ogni minuto all’ascoltatore di che tipo di macellai ci si trovi di fronte\. Ma la vera sorpresa, il vero demone liberato una volta aperto il vaso di Pandora, è la scelta di introdurre molto più noise all’interno del proprio lavoro, operando qualcosa di non meno riuscito di quanto fatto, ad esempio, da Engine Kid o Zeni Geva (pur se in un ambito totalmente diverso in tutt’altri termini musicali). È vero che da sempre i FOH hanno abituato i propri fan ad una massiccia interazione tra grind e noise, tra musica e rumore, ma mai come in questo album si sono toccate delle punte di pura evaporazione melodica, di frantumazione sonora così esplicita, né in “Rainbow Coil” (Weeping Choir) né, incredibile, nelle collaborazioni con Merzbow. Avvenimenti (perché di questo si tratta, non di canzoni ma di “avvenimenti”) come “Derelict Satellite”, con le sue vocals prese in prestito da Chip King dei The Body, “Non-Atomism”, letteralmente un macinato di suono, o il singolo di presentazione “Industrial Messiah Complex” e il suo clipping selvaggio, lasciano a bocca aperta un qualunque amante del genere. Una scelta coraggiosa ed estrema, se ancora di estremo si può parlare recensendo i Full of Hell, ma appartenete ad un’evoluzione naturale dagli esiti forse prevedibili se consideriamo la strada di sperimentazione progressiva intrapresa con il memorabile Trumpeting Ecstasy.
Senza mai uscire dal solco tracciato con aratri argentati dal primo, folgorante, Roots of Earth Are Consuming My Home, i Full of Hell ci hanno ormai abituati ad una sperimentazione continua e progressiva, mai stravolgente ma sempre estrema, a rendere la propria crudele violenza qualcosa di sempre più altro e misterioso. Non aspettatevi quindi, quando parlo di “sperimentazione”, l’ambient del progetto Sightless Pit (con Lingua Ignota e The Body) o l’elettronica ritualistica di “Ascending a Mountain of Heavy Light”: i FOH mai emergeranno del tutto da quel nero fiume di grind e distorsioni che li rende riconoscibili ovunque, da quell’inchiostro viscoso che per primi hanno versato sulla musica estrema.
(Relapse Records, 2021)
1. Guided Blight
2. Asphyxiant Blessing
3. Murmuring Foul Spring
4. Derelict Satellite
5. Burning Apparition
6. Eroding Shell
7. All Bells Ringing
8. Urchin Thrones
9. Industrial Messiah Complex
10. Reeking Tunnels
11. Non-Atomism
12. Celestial Heirarch