
Quello deI Gawthrop è un nome relativamente poco conosciuto dalle nostre parti. Di loro sappiamo che arrivano da Seul, e che finora hanno realizzato due demo in cassetta e stampato due split EP. Kuboa è il loro debutto discografico in 12″, ottenuto grazie alla lungimiranza della Sentient Ruin. Questo è quello che siamo riusciti a ricostruire. Quello che invece abbiamo capito è che il loro è uno degli album più soffocanti tra quelli che abbiamo avuto occasione di ascoltare di recente: un autentico macigno che ci costringe a sopportare una dilaniante e martellante cadenza, che non può che rappresentare un opprimente senso di fame d’aria difficilmente arginabile. Non c’è molto di nuovo nell’imponenza dell’incedere dell’album, che con la sua aggressione sonora rappresenta un autentico strumento di tortura contemporanea. Ma non crediamo che la ricerca della novità, dell’imprevedibilità e del colpo di genio siano tra le motivazioni che hanno spinto i sudcoreani verso la creazione e la realizzazione del disco.
Kuboa è un album che riesce a condensare la sua più intima essenza in un qualcosa di estremamente fastidioso, rappresentato dai trentasei minuti praticamente monocorde, che si susseguono incessantemente, in nome di un approccio oscuro, che si caratterizza per il riuscire ad essere anche, contemporaneamente tormentato. Un approccio che racconta la natura di un progetto che ha scelto di restare fedele al proprio credo interiore, anche al costo di andare incontro all’alienazione più totale, quella che sancisce il distacco dalla vita reale e che non guarda affatto alla sopravvivenza. Kuboa fa quindi della brutalità il suo pilastro, riuscendo a portare lo sludge ad uno stadio primordiale in cui ristagnano sonorità sulfuree, e tutto scompare seppellito da una colata di pece incandescente che non lascia respirare, e che spinge verso una catatonia schizofrenica, indotta da frequenze bassissime che trafiggono il torace e la mente, in modo netto e implacabile. Un album stagnante che, con un grande sforzo di fantasia, possiamo pensare di inquadrare come il tentativo di ricontestualizzare (nostalgicamente) ai giorni nostri un sound statico che ha scelto di restare immobile, mentre tutto il resto del mondo andava (velocemente) altrove. In altre parole, la band mostra l’intenzione di voler ignorare tutto quello che di contemporaneo possiamo ascoltare in ambito sludge, e sceglie di tornare a un qualcosa che sia primordiale, rituale, e barbarico, ai limiti dell’ascoltabilità per la sua quasi assenza di dinamicità. Quella di Kuboa è l’esaltazione di una stasi (mentale e sonora) che porta quasi allo sdegno, ma che saprà trovare non pochi estimatori.
Da un punto di vista di tematiche affrontate, i sudcoreani non nascondono il disgusto per la situazione sociale del proprio paese, per cui possiamo pensare a questo disco come al modo migliore in loro possesso per denunciare i pericoli di un nazionalismo che in Corea del Sud sta minando gli equilibri sociopolitici di un Paese di cui si parla relativamente poco.
(Sentient Ruin Laboratories, 2025)
1. Bulbocapnine
2. Hogweed
3. Granfalloon
4. Nutria
5. Jumbo
6. Jimmy
7. In Heaven


