Conosciamo i Gojira da molto tempo. Abbiamo visto la loro evoluzione artistica farsi da carbone informe a diamante oscuro in pochi anni, con un percorso di tutto rispetto che li ha portati ad essere uno dei nomi imprescindibili del metallo anni ’00. Vogliamo quindi credere che nel loro caso parlare di “commercializzazione” non abbia senso, anche perché è finita l’era adolescenziale in cui basta un’assenza di blast-beat per etichettare un gruppo come venduto. Si cresce, si cambia, si vede e si ascolta il mondo. Il trve a tutti i costi è morto da un bel pezzo, fortunatamente. L’importante è sempre aver qualcosa da dire, raccontare, e trovare il modo giusto e più sentito per farlo. Per questo non è facile parlare di un lavoro così di transizione come Magma, il quale ha bisogno di numerosi ascolti per non essere frettolosamente etichettato come “imposto” dalla label. Volendo fare qualche paragone scomodo si sta assistendo, come già capito dal precedente e altalenante L’Enfant Sauvage, a un processo di evoluzione (?) simile a quello intrapreso dai Mastodon: una riscoperta della forma canzone più semplificata e che fa presa su un pubblico molto più vasto, comunque tentando di imprimere il tutto con le caratteristiche sonorità del gruppo. Il più grande pregio dei Mastodon o dei Gojira stessi è stato infatti quello di aver creato un sound unico e riconoscibile tra mille nel corso degli anni. Ma il risultato rischia di essere non a fuoco e in certi tratti troppo banale e/o derivativo, oltre che disperso in più dischi altalenanti più o meno riusciti. Ergo, veniamo al dunque: Magma è il lavoro più pacato dei quattro francesi, introspettivo e contemplativo in ogni sua parte. La novità più eclatante è rappresentata dalla scelta di Joe Duplantier di cantare in pulito in moltissime parti, mettendo da parte quel growl rauco e atonale loro marchio di fabbrica da sempre – forse anche per limiti ormai fisici? Onestamente il risultato non è nemmeno da buttar via, risultando l’innovazione più interessante di Magma. Nulla di smielato, ovviamente, ma un tono sempre riverberato e quasi liturgico che comunque combacia perfettamente con le atmosfere generali del disco, ampiamente ispirate dalla scomparsa della madre dei fratelli Duplantier. Brani come “The Shooting Star” o “Magma” sono episodi quieti ed atmosferici, la cui ambientazione è tutto sommato apprezzabile, ma rischiano di stufare dopo alcuni ascolti in quanto troppo monotoni e piatti. Infatti, il vero problema di Magma è rappresentato dall’eccessiva linearità delle composizioni e dall’assenza di quella rabbia brutale, intricata e tribale che da sempre ha caratterizzato i Gojira. Più che eruzioni laviche esplosive, il vero magma che viene emesso è quello pacato e dal flusso continuo tipico dei vulcani a scudo Hawaiiani. Non stiamo affermando che occorre sempre far la parte dei metalloni blackster e colmi di tristezza esistenziale o rabbia repressa, ma in questo caso viene meno uno dei tratti caratteristici dei Gojira senza che sia rimpiazzato da altri elementi convincenti e che davvero evolvano artisticamente la proposta. In pratica molti pezzi non decollano mai. Un vero mostro di cerebrale impetuosità batteraia come Mario Duplantier viene relegato a una pura comparsa dalle pelli smussate e troppo rifinite. Inoltre, le composizioni più legate al vecchio corso dei Nostri sono gli episodi più trascurabili e noiosi del lotto: il primo singolo “Stranded” è una canzone dal ritmo catchy che guarda spudoratamente alle ritmiche dei Pantera, poco ispirata e senza spunti interessanti; stesso discorso vale per la – troppo – simile “Only Pain”, composizione scialba e priva di quel mordente sincero che ha sempre caratterizzato i francesi; “The Cell”, pur essendo l’unico pezzo del lotto in cui emerge con vigore Mario Duplantier, naufraga su lidi già ampiamente esplorati, rendendo questo brano ampiamente trascurabile se confrontato con altri episodi passati più apprezzati. Il secondo singolo “Silvera”, risulta il momento più genuinamente Gojira del disco e perciò godibile, anche se nulla aggiunge a quanto fatto finora dai francesi. Il cambio di direzione artistico invece risulta molto più a fuoco nei pezzi migliori di Magma, ovvero “Pray” e “Low Lands”. Qui la sacralità di fondo si fonde bene con le intenzioni contemplative del gruppo, creando delle strutture che evolvono in maniera semplice ma non scontata, mostrandoci un lato oscuramente etereo che mai ci saremmo aspettati dai francesi. Se la prima convolve il tipico suono primitivo e tribale à la Gojira con delle atmosfere ieratiche, il secondo pezzo presenta invece un’azzeccatissima fusione con dei tratti lontanamente shoegaze, prima di un finale più riconoscibile e particolarmente ispirato. La nostra speranza è che i Gojira possano ripartire da queste canzoni per concepire un lavoro futuro più a fuoco e senza motivi di stanca. Il range vocale pulito di Duplantier è onestamente limitato, ma capace di far vibrare le giuste corde se sfruttato a dovere, magari rendendo le parti vocali più sporche e meno patinate dalla produzione. Infine segnaliamo anche gli esperimenti riusciti, rappresentati dal bellissimo intermezzo sabbathiano “The Yellow Stone” (con un Jean-Michel Labadie sugli scudi) e il finale lo-fi “Liberation”, dai sapori etno-folk, che ben chiude un disco volutamente pacifico, ma controverso. Menzione d’onore ancora per i testi, i quali risultano sempre il fiore all’occhiello del combo transalpino, sempre improntati sul rapporto complesso tra uomo e natura.
A conti fatti Magma risulta un esperimento altalenante, con qualche perdonabile caduta di stile. Non vi è difatti mancanza di ispirazione, ma piuttosto confusione di intenti e soluzioni da triangolare in modo più convincente. Per questo, come già scritto nella prefazione, decidiamo comunque di dar fiducia ai Gojira, valorizzando i pochi punti di forza di Magma che verranno riascoltati in futuro, confidando in un brainstorming più convincente. Perché va bene esplorare nuove strade, va bene cercar di far breccia in un numero più alto di ascoltatori, va bene tentare di tirar avanti la carretta ($$$), ma occorre anche dare un senso artistico al progetto per non creare musica di plastica preconfezionata ad hoc per dei veri animali da Wacken. E ben sappiamo che i Gojira non sono questo, a meno che non decidano di esserlo. Motivo per cui dovremmo tutti andare subitaneamente ad ascoltare From Mars to Sirius e The Way of All Flesh. E probabilmente smontare, rimbalzando da una parte all’altra, la stanza/loculo in cui noi tristi portatori dell’oscura mietitrice vestiti di nero trascorriamo le nostre giornate scuoiando gattini e inneggiando a personaggi di dubbio gusto.
(Roadrunner Records, 2016)
01. The Shooting Star
02. Silvera
03. The Cell
04. Stranded
05. Yellow Stone
06. Magma
07. Pray
08. Only Pain
09. Low Lands
10. Liberation