Malgrado si tratti di un esordio, Fall of the Moon dei palermitani 42DE (leggi qui la nostra recensione), pubblicato da Fluttery Records, ci ha stupito per la maturità che la band ha dimostrato in fase compositiva ed esecutiva, piantando le proprie radici nel più classico post-rock ma impreziosendolo con dinamiche, contrasti, sfumature, per un risultato di grande spessore. Abbiamo dunque colto l’occasione per intervistare la band in merito all’album, non mancando di gettare uno sguardo sulla situazione circostante.
Ciao ragazzi, benvenuti su Grind On The Road. Fall Of The Moon è il vostro debut album, ma è uscito per un’etichetta di tutto rispetto come la Fluttery Records. Come siete entrati in contatto con loro? L’incontro è avvenuto a registrazioni concluse?
Ciao! È un piacere per noi esser qui a rispondere alle vostre domande. Durante la registrazione di Fall of the Moon siamo entrati in contatto con la Fluttery Records tramite uno scambio di e-mail: inizialmente erano interessati a ripubblicare il nostro EP, poi abbiamo mandato loro i primissimi mix del nostro album e ne sono rimasti sorpresi: ci siamo così accordati per pubblicarlo.
L’album è attraversato da un concept molto particolare. Ce ne parlate? Come vi è venuto in mente di raccontare una storia nonostante l’assenza di voci e testi? È stata difficile da realizzare?
L’evoluzione del concept del nostro album si è dilungata nel corso degli anni: è stata oggetto di continue discussioni e revisioni; talvolta è stata direzionata dalla musica già composta, ed in altre occasioni è stata la linea guida principale delle nostre composizioni. Fall of the Moon è un viaggio allegorico all’interno di un mondo ormai saturo di urbanizzazione e abusi da parte dell’umanità: in primo luogo racconta dei fili invisibili che legano gli elementi dell’universo, per poi avvicinare l’attenzione dell’ascoltatore verso il rapporto tra il nostro pianeta e la sua luna. Ci teniamo a dare solo un numero di informazioni limitato, perché è giusto che un concept senza parole lasci spazio all’interpretazione personale e all’immaginazione. Una cosa è certa: quello che inizialmente sembra uno scenario catastrofico si rivela poi essere una sorta di sistema di autodifesa del nostro pianeta, che chiama a sé la luna, contenitore del seme che darà il via ad una nuova vita.
La copertina del nostro disco, ad esempio, rappresenta una situazione post-impatto nella quale la luna – il cui impatto viene ammortizzato dalle ultime forme di vita floerale esistenti – si trasforma nel bozzolo che rilascerà le nubi del secondo grande diluvio universale, descritto nel nostro brano “Submerge this World, Holy Rain”. I titoli dei brani sono un ottimo modo per orientarsi nel nostro concept, ma non dimenticatevi di lasciarvi trascinare dalla musica – che è sempre la cosa più importante.
Il vostro suono mantiene un approccio chitarristico, abbastanza rock se vogliamo, e un legame con la forma canzone. Si tratta di una precisa scelta? Come mai, a vostro parere, molte band preferiscono un post-rock più patinato, stratificato e destrutturato?
I nostri brani sono caratterizzati da un forte legame con le strutture compositive che caratterizzavano il nostro passato musicale. Il nostro approccio al post-rock è stato progressivo, inserito a poco a poco in una formula che abbiamo affinato in passato e che è ancora in fase di evoluzione. Il legame col passato è dunque evidente, ma non è mai stata una scelta ponderata. Per quanto riguarda l’approccio compositivo delle band post-rock moderne, pensiamo sia più che normale che band che decidono di inserirsi in un genere musicale specifico riprendano le linee compositive scelte dai grandi del genere. L’uso del crescendo è molto comune, spesso prevedibile ma sempre di grande impatto. Ogni tanto lo citiamo anche noi, ma ci rendiamo conto che abusarne potrebbe rendere vano il fattore sorpresa che i generi musicali come il post-rock dovrebbero conservare per puntare al cuore dell’ascoltatore.
Il ricorso al violoncello in “Interlude” è molto interessante. Pensate di includerlo nelle vostre future composizioni, magari in maniera più organica?
Abbiamo deciso di inserire una traccia di violoncello nella nostra “Interlude” durante la fase di registrazione del nostro disco allo ZEIT Studio di Palermo. Il nostro caro sound-engineer Luca Satomi Rinaudo è stato parte attiva della produzione del disco: ascoltando le prime versioni del brano ci ha suggerito di sostituire alcune parti di chitarra con una traccia di violoncello, registrata da Alessio Pianelli, violoncellista palermitano.
Massimiliano (chitarra) e Manfredi (basso) suonano anche nei Favequaid. C’è qualche forma di influenza reciproca tra le due band?
Considerato che Manfredi e Massimiliano sono praticamente costretti a passare metà del loro tempo insieme, risulta inevitabile che le composizioni delle due band si siano un po’ influenzate a vicenda: in particolare negli ultimi tempi i Favequaid stanno “riverberando” i propri suoni; e questa è sicuramente un’influenza delle più recenti esperienze dei 42DE.
Il vostro moniker è abbastanza singolare, perché proprio 42DE?
42DE è un gioco di parole in lingua inglese. Si pronuncia “Fortitude”, sommando “forty-two” e il suffisso “de”. Il 42 è un numero iconico per la cultura fantascientifica, in quanto rappresenta la risposta alla grande domanda. Fortitude invece significa “forza d’animo”, e rappresenta l’attitudine necessaria a vivere il quotidiano con una sensibilità e forza uniche.
Malgrado nutra un buon numero di seguaci attorno al globo, il post-rock rappresenta comunque una nicchia, in particolar modo in Sicilia. Avete mai riscontrato problemi a ritagliarvi i vostri spazi, specie dal punto di vista dei concerti?
Possiamo dire di aver sperimentato diverse esperienze nella nostra città natale, Palermo, e di aver riscontrato le più svariate reazioni. Il post-rock non è molto popolare, e spesso capita che lo spettatore si ritrovi davanti a qualcosa che non ha mai ascoltato prima. Le sorprese sono state tante, ma abbiamo sempre avuto l’occasione di fare i nostri show senza problemi.
Come vivete la realtà musicale underground palermitana?
Palermo è un’esplosione di cultura: città ricca di musicisti, in certi ambiti vive una forte competizione interna, in altri vede diverse realtà amalgamarsi in onore della musica nelle più svariate situazioni. Forse qualche anno fa era un po’ più facile organizzare concerti di musica inedita a volumi sostenuti, ma non pensiamo vi siano pretesti per potersi lamentare della situazione.
Ci sono altre band siciliane che sentite vicine a voi, per ragioni prettamente musicali o attitudinali?
Negli ultimi anni abbiamo passato le nostre prove ospiti e co-affittuari della Vasto Records, che al momento è l’unico studio nel quale bazzicano band post-rock della nostra città. Ci teniamo a consigliarvi di ascoltare i nostri compagni di sala: date un ascolto agli Aria di Vetro, gli Hane e The Outsider, tre validi progetti che si stanno evolvendo in un percorso musicale a base post-.
L’intervista è conclusa, salutate i nostri lettori segnalando le vostre uscite post-rock preferite dell’anno in corso.
Possiamo dire che quest’anno sia stato molto prolifico per la scena post-. Ci teniamo a segnalare il doppio disco dei This Will Destroy You, New Other Part One/Two, e il meraviglioso Phanerozoic I: Palaeozoic dei The Ocean. Vi consigliamo di tener d’occhio anche l’uscita del nuovo disco degli Oh Hiroshima, che verrà pubblicato il 7 dicembre. Grazie a tutti per il tempo dedicatoci, speriamo di potere presto raggiungervi con qualche nuova data in giro per l’Italia.
Manfredi, Massimiliano, Nicolò, Sandro
42DE