In silenzio da anni, i mantovani Attic hanno pubblicato il loro nuovo album, Interiors (Autoprodotto), da qualche mese. Un concentrato di math, noise, hardcore e passione che merita molta attenzione. Noi gli abbiamo fatto qualche domanda. Buona lettura!
Ciao ragazzi e benvenuti su Grind on the Road. Ad aprile è uscito, autoprodotto, dopo anni di silenzio, il vostro nuovo lavoro, Interiors. Iniziamo da dove ci avevati lasciati: i problemi di lineup all’indomani di On Your Grave. Come avete vissuto quel periodo, e come l’avete superato? Potevate sciogliervi, continuare con un nuovo moniker e invece eccovi ancora qua.
Ciao a tutti!
Durante questo periodo di stallo abbiamo comunque avuto un approccio positivo riguardo alla continuazione del progetto. Nonostante ogni circostanza paresse remare contro di noi (oltre ad essere rimasti senza il cantante, Lorenzo, uno dei due chitarristi, si è trasferito a Bologna, e questo ha reso ulteriormente complicato il tutto) non ci sentivamo di smettere e archiviare i pezzi che stavamo scrivendo. Quindi, con tanti sacrifici e tanta determinazione, siam riusciti a realizzare il disco. Avevamo anche pensato di cambiar nome, visto che la formazione attuale è quasi totalmente stravolta rispetto alla precedente, ma poi abbiam deciso di no, anche perchè le strutture dei pezzi che compongono l’album son state scritte dai tre Attic “superstiti”. Ci sembrava giusto chiudere un cerchio e siamo molto contenti di ciò che abbiamo ottenuto!
Qualche tempo dopo l’ingresso negli Attic di Stefano e Marco dei Days of Collapse, la band vicentina ha annunciato lo scioglimento. Quanto questo è stato una concausa, e in che misura quel bellissimo progetto rivive nei nuovi Attic?
Ne è stata proprio la principale causa! Quando stavano scrivendo Interiors, chiedemmo subito a Marco se volesse collaborare. In quel periodo i Days of Collapse esistevano ancora. Proprio per questo ci disse di no per mancanza di tempo da poter dedicare alle due band contemporaneamente. Ci è molto dispiaciuto sentire del loro scioglimento. Questo però ha fatto si che Marco ci ricontattasse per sapere se l’offerta fosse ancora valida. Non abbiamo esitato ad accettare, essendo anche amici di lunga data. Nel frattempo avevamo cambiato ulteriormente la formazione (Lorenzo dal basso è passato alla seconda chitarra) e quindi serviva pure un bassista. Così chiedemmo anche a Stefano se volesse unirsi alla carovana e finalmente ora siamo al completo. Diciamo che la loro sfortuna è stata la nostra fortuna, ma ci mancheranno un sacco i Days of Collapse. Grandi compagni di viaggio e grandi musicisti!
Leggevo nell’intervista che avete rilasciato a Radio Punk che, vivendo in città diverse, avete una situazione un po’ complessa e problematica per quanto riguarda il ritrovarsi frequentemente in sala. Eppure farete pure tanti sacrifici per riuscirci. Quali sono le motivazioni che spingono oggi cinque ragazzi a così tanti sbattimenti pur di potersi chiudere in sala e scrivere la propria musica?
Tutti noi abbiamo sempre suonato da quando eravamo alle superiori. Siamo entrati in quel circuito e ci ha ipnotizzato fin da subito. È davvero un’esigenza che ci spinge a fare tutta questa serie di cose. Dopo tre anni di totale stop ci sentivamo persi e ci mancava tutta la magia di quel mondo: conoscere persone nuove, scambiarsi idee, costruire qualcosa di concreto e vedere nuovi posti. Non volevamo che tutto questo finisse così, e ci siamo rimessi al lavoro, seppur con le varie limitazioni che ci si ponevano davanti: lavoro, altri impegni e lontananza. Ora ci troviamo molto più raramente per le prove, e incastrare le nostre vite con le date è molto più complicato. Ma sapevamo da subito a cosa saremmo andati incontro, e per ora va bene così.
Sicuramente questo accade, non tanto quando si vuole dire qualcosa, ma quando si ha qualcosa da dire e l’urgenza di dirla. E questo in Interiors è palese . Vi va di raccontarci di cosa parla l’album?
L’album è una sorta di concept. Ogni canzone è legata con l’altra, ed è una progressiva discesa negli abissi delle nostre esistenze. È una presa di coscienza del fatto che da certe cose non scappi e quindi devi adattarti e accettarle. Ma alla fine il disco non trova alcuna soluzione se non quella di accettare e farti cullare dalle onde dei tuoi oceani di silenzio. Tra questi sei pezzi frenetici ci sono due intermezzi strumentali che abbiamo voluto inserire per levigare un po’ . Uno dei due è stato scritto e suonato al pianoforte dal compositore Luigi Signori, che ha percepito subito l’intenzione del disco, realizzando così una sorta di marcia funebre parecchio inquietante.
Interiors è stato presentato dal vivo, in una serata in cui c’erano pure Northwoods e The Haunting Green. Considerando che per voi è stato pure il primo live dopo tantissimo tempo, come avete vissuto le fasi di preparazione e, anche alla luce della vostra partecipazione al Milano Evade (con Hate & Merda, Nudist, Rejekts, Selva) e, immaginiamo, tutta un’altra serie di live futuri, vi ha convinto la vostra prestazione?
Sempre per la difficile questione logistica non siamo riusciti a fare tantissime prove. Ma ci siamo comunque preparati al meglio. Questo ha fatto si che fossimo più concentrati nell’esecuzione e meno rilassati di come siamo solitamente. Comunque è stato molto emozionante. C’era un sacco di gente presa bene e le due band prima di noi, Haunting Green e Northwoods, hanno fatto due show strepitosi. Son due band che stimiamo parecchio e siam stati contentissimi di suonarci insieme. Mentre scriviamo è passata pure la data di Monza e, nonostante il caldo infernale, è andata piuttosto bene.
A differenza di On Your Grave, che era uscito per una label (la Moonlight), Interiors è autoprodotto. Come ci siete arrivati a questa decisione?
Più che una scelta è stata una necessità. Avevamo fissato il release mesi e mesi prima di registrare. Poi per vari motivi siamo arrivati in prossimità della scadenza e abbiam dovuto accelerare un po’ le cose. Era tardi per cercare label interessate e aspettare le varie risposte, quindi abbiamo optato per l’autoproduzione. Un po’ dispiace, non da un punto di vista economico, quanto per creare rete di condivisione e far girare un po’ di più il disco.
Che musica ascoltano gli Attic e che band ci consigliate?
Sei band fondamentali da conoscere (e vedere live!!!) sono i fratelli Abaton, Hate&Merda, Turin Horse, Sedna e gli immensi Viscera///.
Grazie per la disponibilità, noi abbiamo finito. Chiudete come preferite.
Grazie infinite a voi per lo spazio!
Ci si vede in giro!